venerdì 10 settembre 2021
Rossi contro neri e neri contro rossi, e poi rossi contro cattolici, quindi moralisti contro corrotti e via via fino a globalisti contro no-global, e pro Tav contro no Tav. Ora s’è aggiunto lo scontro tra presunti “no vax” e presunti “pro vax”, e in buona compagnia degli atavici tra disoccupati e lavoratori, sfrattati e proprietari di casa, burocrati e imprenditori. È dal 1945 che il sistema democratico italiano si regge sullo scontro tra categorie e classi sociali. Per certi versi è la situazione tipica dei Paesi colonizzati e satelliti, ovvero governarli mantenendo all’interno del contenitore un alto livello di conflittualità sociale. Del resto, usava così l’Inghilterra in India, e lo fa ancora oggi la Segreteria di Stato Usa in America Latina, finanziando gli eserciti paramilitari del narcotraffico (quelli che ultimamente hanno collaborato con la polizia colombiana a punire gli abitanti delle favelas).
È la regola del “divide et impera”, il miglior espediente per controllare è dividere: promuovendo culturalmente (oggi con giornali e tivù) la rivalità tra i cittadini. Del resto, al buon Napoleone III, che predicava “ogni giorno che passa mi dà la prova che i miei più sinceri amici non sono nei palazzi ma nei tuguri, non passano la loro esistenza sotto tetti dorati ma nelle officine e nelle campagne”, venne rimproverato dal prefetto di Parigi (quello che inventava Vidocq capo della Sureté) di non aver seguito il “diviser pour régner” di chi lo aveva preceduto.
Il potere che non fomenta le divisioni interne spesso e sovente cade sotto i colpi di barricate e occupazioni del Palazzo. E da che mondo e mondo la sicurezza di sistema ha sempre dovuto inoculare i provocatori nel malcontento popolare. Una sorta di vaccino, utile a disinnescare il coagularsi delle forze oppositorie. Una tecnica socio-politica romana, carolingia, anglosassone, asburgica… attuale: ovvero, per ottenere un risultato è necessario dividere chi s’oppone alla soluzione desiderata dal potere.
Si narra che l’adagio venne per la prima volta sussurrato a Tito Flaminio dopo la distruzione di Corinto, “διαίρει καὶ βασίλευε” (“diàirei kài basíleue”, dividi e regna, urlava Filippo il Macedone ai suoi legati d’Oriente), e Roma ne fece intelligentemente propria strategia: alternandola al lavarsene le mani, gesto pilatesco che qualche malevolo aveva tacciato come proto-democristiano (poi lo stesso si turava il naso e votava Diccì). In pratica, si trattava d’una strategia finalizzata al Governo d’una popolazione, dividendo e frammentando il potere dell’opposizione. Così i governi hanno da sempre evitato che i piccoli partiti con piccolo potere potessero unirsi formando un forte centro antagonista.
Anche oggi il “sistema centrale” (Governo, Quirinale e Servizi Segreti) divide e crea fazioni, in modo che non si coaguli mai la quadra contro i detentori del potere. La tecnica del “divide et impera” permette ad un Governo esiguo nei numeri di consenso (i voti) di governare una popolazione maggioritaria nel dissenso. Alimentando vecchie rivalità di fede politica, faide e dissapori: dal religioso al sessuale, dal calcistico all’etnografico, dal reddituale al salutistico. Il deterioramento dei rapporti tra le fazioni trasforma gli oppositori in una miriade di tribù perdenti, incapaci di stringere alleanze, quindi non autorevoli politicamente al punto di minare democraticamente il potere consolidato. Frazionato il nemico, il Governo concede aiuti ricattatori, ovvero premia solo chi sta alle regole di sistema: premiato è chi possiede auto e lavatrice a norma Ue e in classe energetica, chi usa moneta elettronica, chi aggiorna il telefonino… chi è tracciato e tracciabile (Green Pass, paga solo con carta elettronica, ha contratto di domotica con multinazionale informatica). Sono gli atti di fedeltà al sistema che ci stanno chiedendo Mario Draghi, Sergio Mattarella e Papa Francesco.
Certo, questa tecnica genera conflitti sociali, ma fa parte del metodo per implementare l’odio e la diffidenza tra cittadini e tra i componenti anche dello stesso nucleo familiare. Oggi il “divide et impera” è tornato in voga perché serve a gestire la politica di globalizzazione, ieri era il cardine dell’Amministrazione degli Imperi. Questi ultimi dovevano controllare territori estesi, consapevoli che gli eserciti europei (inglesi, tedeschi, austriaci, spagnoli, portoghesi, olandesi, belgi) erano minoritari in Africa, in Asia come in America Latina. Oggi la globalizzazione impone che il “divide et impera” inizi ad operarsi all’interno delle coscienze, manovrando i social network, e per poi contaminare le varie fazioni in lotta. Fine ultimo? Persuadere il consumatore che il potere è bello e rappresenta il bene… il resto è solo infelicità, il rancore d’un deforme Dioniso che si specchia. È comunque una liturgia di potere nata con l’uomo organizzato e politico: oggi non s’usano più i metodi sanguinari per convincerci che chi regna è bello, buono e ha ragione.
di Ruggiero Capone