Il Presidente e il Papa: perché hanno ragione

giovedì 2 settembre 2021


Non pensavo che avrei mai potuto essere così tanto d’accordo con l’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ma per la prima volta dal suo insediamento, condivido integralmente quanto da lui sostenuto, nel discorso alla nazione dell’altra sera, relativamente alla situazione afghana e alle future scelte geopolitiche degli Stati Uniti – che, come sempre, si presume saranno anche quelle del resto dell’Occidente, Italia inclusa. Parlando agli americani, infatti, il presidente Biden ha sostenuto, semplicemente, che è ora di andare avanti, di lasciar andare il passato per guardare al futuro. In altri termini, è tempo che l’Afghanistan inizi a stare in piedi sulle sue gambe, quali che siano le implicazioni, sul piano della politica interna. Il compito degli Stati Uniti si è concluso: non si poteva fare più di quello che si è fatto. Dopotutto, l’occupazione americana dell’Afghanistan è durata vent’anni, durante i quali si è cercato di “civilizzare” quelle popolazioni nella maniera migliore possibile. Che poi non abbiano recepito praticamente nulla di quello che si è cercato loro di insegnare è un loro problema, non nostro.

A un certo punto, ogni popolo ha i governanti che merita. In ogni caso, quello che succede in Afghanistan non è più un problema americano (e non dovrebbe essere più nemmeno un problema europeo): ciascuno inizi a essere responsabile di sé stesso e del suo futuro. Personalmente, ho interpretato le parole del presidente americano come una sorta di Requiem dell’era neo-conservatrice. Quello che mi è parso di capire è che il passato che Biden intende lasciare andare è proprio quello in cui gli Stati Uniti erano il “gendarme globale”, il responsabile della sicurezza dell’Occidente, perennemente impegnato a bombardare e a inviare truppe in ogni angolo del mondo. Al contrario, il futuro al quale l’amministrazione Biden intende dare il benvenuto sembra sia quello di un America (e conseguentemente anche di un’Europa) maggiormente concentrata su sé stessa e sui suoi problemi interni. Spero solo di aver capito bene e di non essermi lasciato trasportare troppo dalla speranza.

Cosa avremmo dovuto fare? Questa è la domanda retorica di Biden (e me lo domando anch’io, quando sento gli opinionisti nostrani deprecare la scelte dell’amministrazione americana): l’unico modo per impedire che i talebani prendessero il potere era inviare altre truppe e scatenare una guerra che sarebbe, verosimilmente, andata avanti per altri vent’anni. Gli Stati Uniti hanno pagato un prezzo già troppo alto, in termini di vite umane (quasi duemilacinquecento soldati) e in termini economici (tre milioni di dollari al giorno, per l’esattezza). L’intervento militare da parte dell’Occidente non ha risolto il problema del fondamentalismo, l’ha solo “contenuto”. Se anche le truppe non fossero state ritirate o se si fossero inviati dei rinforzi sarebbe stata la stessa cosa: un palliativo, non una cura risolutiva. Prima o poi avremmo dovuto lasciare quella terra, e i talebani sarebbero comunque tornati. Avremmo solo rimandato l’inevitabile.

Ma non è finita qui. Quello che più colpisce dell’intervento di Biden è il suo realismo. Invece di pensare all’Afghanistan – dichiara il presidente – concentriamoci sulle vere minacce alla sicurezza, ai valori e alla prosperità dell’Occidente: la Russia e la Cina. Nella loro mania di distruggere il famoso “Impero del male”, identificando nel Medio-Oriente il suo cuore pulsante, i neoconservatori sembrano non essersi accorti che quello stesso impero si stava costituendo altrove e con un volto molto più aggressivo. Nessuno sembra essersi accorto che la principale minaccia nei confronti dell’Occidente è l’asse russo-cinese: la Russia con la sua politica estera aggressiva e col suo programma di riarmo; la Cina che, con la sua “economia di conquista”, sta colonizzando i mercati occidentali sbaragliando i produttori nostrani coi suoi prodotti a bassissimo costo. Entrambe portatrici di valori illiberali e anti-democratici. Invece di pensare all’Afghanistan, forse sarebbe più opportuno preoccuparsi di questi due giganti: loro si, capaci di insidiare e distruggere la nostra civiltà, se non avremo la destrezza di reagire e di difenderci nella maniera dovuta. Per la prima volta dai tempi di George Bush Sr – eccezion fatta per Donald Trump che, a suo modo, era contrario all’idea di un’America impegnata militarmente all’estero e che cercò di contrastare l’espansionismo economico della Cina – negli Stati Uniti c’è un presidente con un minimo di senso della realtà e capace di distinguere chiaramente cos’è che minaccia realmente gli Stati Uniti e i suoi alleati e cosa, invece, serve solo come pretesto al Pentagono, alle industrie che riforniscono le forze armate e ai politici neo-conservatori per giustificare le varie guerre in giro per il mondo.

Questo mi porta all’intervista rilasciata da Papa Francesco alla radio spagnola Cope. Pronunciandosi sulla questione dell’Afghanistan, il pontefice ha chiaramente espresso il suo rammarico per quanto sta avvenendo in quel Paese e, contemporaneamente, la sua vicinanza alle persone che soffrono a causa della guerra. Ma ha anche detto che noi (l’Occidente) dobbiamo iniziare a guardare le cose da un’altra angolazione: dobbiamo smetterla di pensare che i nostri valori e costumi siano universali, che possano andar bene per tutti. In particolare, dobbiamo smettere di pensare che la democrazia e la libertà possano essere esportate con le armi o imposte coattivamente alle popolazioni, senza nessuna considerazione per le loro tradizioni culturali e politiche. Papa Francesco ha ragione. Una cosa che di lui ho sempre amato è la concretezza tutta gesuitica: i principi, per quanto teoricamente impeccabili, devono essere applicati alla realtà, che è sempre molto più complessa di quanto la teoria la descriva. La democrazia richiede una maturità che pochi popoli possiedono (e questo non lo diceva certo un “isolazionista cattivo” come il sottoscritto, ma Jean Jacques Rousseau, che pure dovrebbe piacere ai neo-conservatori, che sono fondamentalmente dei giacobini).

Affinché attecchisca e dia frutti, è necessario un clima ospitale: vale a dire, una cultura appropriata, che solo l’Occidente può vantare, in ragione delle sue esperienze e della sua tradizione. Ciò significa che, al di fuori dei confini occidentali, la democrazia è solo una pia illusione. E semmai anche altri popoli, un giorno, dovessero essere pronti a riceverla, si può star certi che saranno essi stessi a dotarsi di tale assetto, senza bisogno di truppe d’occupazione o di “tutori” occidentali. Tutto avverrà spontaneamente, come accaduto da noi. L’Occidente è diventato democratico quando era tempo che lo diventasse. Se anche altrove maturassero le condizioni giuste, si verificherà la stessa cosa. La democrazia è un bellissimo sistema, ma è solo per pochi: come tutte le cose belle, del resto. Pensare semplicemente di imporla o di esportarla manu militari” è una “presunzione fatale” destinata a produrre più danni che benefici, come la vicenda afghana (ultima in ordine di tempo) credo abbia dimostrato.


di Gabriele Minotti