L’Italia è il laboratorio socio-politico degli Stati Uniti

martedì 31 agosto 2021


Dopo il fallimento di Trump e Biden arriverà un Draghi americano?

Leggendo l’inizio dell’articolo “Destino manifesto” di Franco Berardi, detto “Bifo”, mi è venuta in mente una frase del saggio “La bomba informatica” di Paul Virilio (Cortina, 1998). Le parole di “Bifo” sono inequivocabili: “Recentemente, parlando della disfatta di Kabul… mi è capitato di scrivere che gli Usa sono finiti, perché il Paese non ha un presidente, dato che Biden, se mai è esistito, è stato annichilito dalla gestione della ritirata; e perché non hanno un popolo ma due, e in guerra tra di loro”.

Tutto vero, soprattutto la sottolineatura sui due popoli della stessa nazione in guerra tra loro. Le osservazioni di Virilio sull’America di 23 anni fa erano invece queste: “… perché Bill Gates non ha acquistato un Rembrandt ma il manoscritto del Codice Leicester di Leonardo da Vinci? Forse perché gli Stati Uniti sono più italiani che tedeschi, russi o spagnoli, o addirittura più italiani che Wasp… l’America è stata “inventata” nei primi anni del Cinquecento dal navigatore fiorentino Amerigo Vespucci, dopo essere stata scoperta dal genovese Cristoforo Colombo. Questo mentre altri italiani, come Leon Battista Alberti, iniziavano l’Occidente alla visione prospettica. L’America è il punto di fuga, la prospettiva (= il “vedere attraverso”), e il vero eroe americano non è il cowboy o il soldato, ma il pioniere, il pathfinder, ovvero colui che porta il suo corpo dove si è posato il suo sguardo. Ecco perché tutta l’America è diventata una gigantesca Hollywood. Ecco perché Berlusconi diceva, in una storica campagna elettorale, chi non ama la televisione non ama l’America”.

Un’altra risposta alle affermazioni di “Bifo” sugli Stati Uniti, che oggi sembrano l’Italia squartata dalle lotte tra due schieramenti, viene dal filosofo francese Jean Baudrillard, il quale sosteneva senza mezze misure che l’Italia è il laboratorio socio-politico degli Usa: siamo la nazione che ne anticipa le tendenze.

Ebbene, cosa è successo in Italia dopo la lunga guerra tra destre e sinistre, iniziata poco dopo la caduta del Muro di Berlino, proseguita con gli anni del Berlusconismo e Mani Pulite, terminata con gli anni di Matteo Renzi e Beppe Grillo? La guerra tra gli eredi del Partito Comunista italiano-Democrazia Cristiana-Partito Socialista italiano – che hanno ereditato la partitocrazia contro cui si scagliava Marco Pannella (e il Rino Gaetano di Nuntereggae più) – è stata sparigliata non poco dal neoqualunquismo dei Cinque Stelle e della trasmigrazione del renzismo verso il centro, con la conseguente radicalizzazione della sinistra nelle correnti neo-leninista o neo-luxemburghiana o tardo-burocratica alla Nicola Zingaretti.

La prima Lega, M5S e Renzi, comunque li si giudichi, hanno in qualche modo indicato una via di fuga, un’altra prospettiva dove posare lo sguardo, hanno cioè posto la questione del Terzo Escluso, chiudendo la porta – almeno per un poco – alla logica binaria limitata a due soggetti entrambi diventati paleosauri della politica, pertanto incapaci a gestire le colossali sfide che stiamo attraversando, tra nemici che non sono soltanto la Cina e i suoi alleati, ma terrorismo, cybersecurity, crisi economica, ambiente ed energia, Covid e le possibili bioguerre future. Per non parlare della battaglia più importante: quella del contrasto alla decadenza dell’intelligenza nelle società più sviluppate, dovuta forse alla prevalenza della vista (cioè del tempo trascorso sugli schermi) sulla vita reale (il tempo trascorso a fare esperienze dirette), ovvero della perdita della libertà di utilizzare il territorio col proprio corpo e la propria attività.

L’eruzione pentastellata – comunque se ne pensi – ha vendicato la sconfitta dell’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini, aggravando la malattia dei partiti, già colpiti dal succedersi di attacchi da parte del renzismo, del leghismo e di libri-movimento come “La casta”. Poi i Cinque Stelle hanno terminato il loro ruolo neo-giacobino, non senza aver commesso adulterio, prima governando con la Lega di Matteo Salvini – soffocandola – e poi abbracciando il Partito Democratico di Zingaretti ed Enrico Letta, ridicolizzandolo. Il re è stato ghigliottinato, anche se la Bastiglia partitocratica incarcera ancora moltissimi italiani. I media a quel punto si sono un poco allontanati dall’appoggio (interessato) a uno dei due schieramenti, andando alla ricerca di una qualche novità, mentre il “fattismo” di Marco Travaglio appoggiava i pentastellati con buona parte de La7. Alla fine, è arrivato Mario Draghi, il Terzo Escluso, l’uomo della Provvidenza che ha sostituito le precedenti divinità ex machina (Berlusconi, Salvini, Renzi, Giuseppe Conte), questa volta non in ragione di un nuovo partito o di nuovi slogan e balle da raccontare, ma – se non altro – perché aveva le carte in regola per gestire un Paese esausto per la guerra tra i partiti, cui si sommano quella economica e quella sanitaria.

Draghi ha estremizzato i due Esecutivi di Conte: invece di governare prima con la “destra” e poi – dopo pochi mesi – con le “sinistre”, ha messo insieme un Governo di Unità nazionale, responsabilizzando chi era finora irresponsabile, in quanto mirava agli interessi di parte invece che a quelli generali. Scusate se è poco. Non è un caso che dietro a Draghi non ci sia nessun partito e nessun movimento giacobino-qualunquista. L’idea che potrebbe nascere dalla prospettiva di Draghi è uscire dal dualismo destra-sinistra diventando un minimo pragmatici, ovvero rendersi conto che ogni Governo deve in primo luogo risolvere problemi con la competenza e non con ideologie o interessi di parte. Draghi, comunque vada a finire, ha cominciato a far capire che la distinzione tra destra e sinistra era un olio santo ma esausto. Il muro italiano tra gli opposti militanti ormai è stato abbattuto da diverse persone, e il suo crollo risalta molto bene in un articolo di Guia Soncini sulla senatrice Monica Cirinnà, che comincia così: “Non ho niente contro la sinistra, ho molte amiche di sinistra: passano il tempo a lamentarsi della servitù. Però non la chiamano “servitù”, dicono “la signora che mi aiuta in casa”, e poi sibilano che ha detto di aver fatto i vetri, mentre erano ancora sporchi”.

I due schieramenti erano uniti da un matrimonio incestuoso, avendo gli stessi geni malati dell’ideologia statalista e della ricerca di un elettorato corporativo. In una larga parte dei partiti italiani resiste ancora la sintesi di Benito Mussolini tra socialismo totalitario e conservatorismo totalitario. “Lo Stato è sopra ogni cosa”, diceva il duce, e così continuano a ripetere i partiti italiani. Solo che lo Stato non è agile, non burocratico e non asservito alle ideologie, ma è un pachiderma incapace di gestire le sfide attuali. Serve una stagione riformatrice che punti a un’economia in mano a tutti i cittadini, facendola finita con l’economia mista pubblica-privata, là dove il pubblico diventano i partiti e il privato è rappresentato soltanto dalle grandi imprese più o meno monopoliste, legate ai carrozzoni politici e mediatici.

Mi chiedo quindi se gli Stati Uniti – se è vero che l’Italia anticipa la politica americana come sostenevano Baudrillard e Paul Virilio – replicheranno quanto è successo nel “laboratorio italiano. Penso a quale sarà il loro Movimento Cinque Stelle e a come resisteranno agli inevitabili cataclismi da questo provocati. Cerco anche di immaginare chi sarà il loro Draghi. In effetti, sia la débâcle afghana di Joe Biden sia l’anarchico decisionismo privo di direzione di Donald Trump dovrebbero spingere l’America verso cambiamenti radicali, mettendo fine al duopolio democratici-repubblicani con una fase certo non esente da fuochi artificiali e reali, speriamo limitati.


di Paolo Della Sala