mercoledì 4 agosto 2021
Amministrare Roma è un compito altissimo, difficile, che richiedere competenze specifiche e spirito di sinergia interdisciplinare. Amministrare Roma richiede anche capacità di governare i diversi saperi espressi dagli apparati burocratici, al servizio delle dinamiche socio-economiche e culturali. Il fine è quello di ottimizzare, o anche cambiare, le più volte annunciate missioni di razionalizzazione deflattiva, nella burocrazia. La vita dell’amministrazione dev’essere al servizio dell’amministrazione della vita, che ciascun cittadino compie, per evolversi in società. Governare la Capitale, nelle gioie e nei dolori della metropoli eterna ed eternamente in bilico, finanziariamente, ma seconda a nessun’altra capitale per bellezza artistica o fascino, richiede anzitutto una visione: competente, poliedrica, specializzata e al contempo omnicomprensiva.
Senza una visione ogni attributo di competenza tecnico-specialistica, ogni sinergia interdisciplinare ed ogni scienza dell’amministrazione, realisticamente, perdono tono. Senza una visione della polis le inesatte scienze richieste, vocate a produrre e applicare tecnicamente i moduli organizzativi del vivere associato fra i cittadini, diventano monadi proiettate verso il caos. Un’entropia politologica, spostando l’asse sulla gestione del caos, potrà invece non solo gestire, ma governare, politicamente, l’universo capitolino, alter ego sostanziale e materiale dei distinti ma complementari universi istituzionali di livello nazionale ed internazionale (si pensi alle ambasciate o allo Stato vaticano, comunque presenti sul territorio romano). Governare con ordine: garantendo discipline organizzative idonee ed efficienti a sollevare, non solo la qualità, ma anche lo spirito civico di tutte le genti che vivono e attraversano Roma, aprendo ed elasticizzando la romanità.
Stando così le esigenze in divenire nella tragedia amministrativa romana, la sfida, la vera sfida la lanciano i cittadini romani e i fuorisede romanizzati che vivono le strade, le istituzioni, gli affari, gli otia ed i negotia della romanità nazionale, europea ed internazionale, in senso intersezionale e transgenerazionale. Stando così le cose, la sfida non la lanciano i politici tra di loro, per le prossime elezioni, dopo i rammarichi dovuti ai mancati cambiamenti che molti attendevano dalla giunta Raggi. Sono e saranno i cittadini e tutti gli habitué della romanità a condividere e portare alla ribalta le volontà di cambiamento effettivo. Questa volta il cambiamento si misurerà anzitutto sul suo grado di palpabilità, nella fruizione dei servizi, e nel decoro nonché nella parificazione delle opportunità, per l’accesso alle piste d’investimento economico e culturale, nei potenziali passaggi dalle streets alle stars capitoline, per chiunque abbia merito e voglia di fare. La questione dei cosiddetti ascensori sociali è fondamentale nella fase New age di un capitalismo capitolino sociale al cui interno si voglia sperimentare il progresso, superando le proprie contraddizioni sub-sovrastrutturalizzanti che invece incrostano le dinamiche spente della crescita personale, e professionale, per gli individui tutti in città.
Intanto, seppur a spezzoni e senza mai un chiaro confronto fra candidati, si possono intravedere all’orizzonte alcune dialettiche tra alcuni fra gli aspiranti sindaco. Il modello professato dal candidato Roberto Gualtieri a fine luglio, in un comizio tenutosi a piazza Santa Maria Liberatrice per una lista più a sinistra del Pd, è un modello di internalizzazione dei servizi (la parola “internalizzare” è stata utilizzata dallo stesso candidato: ero ad ascoltarlo da una finestra di un palazzo della piazza medesima), procedendo così su un modello di conservazione dei moduli amministrativi e gestionali. Il candidato Gualtieri ha una visione attenta all’accessibilità dei servizi per tutte le cittadine e per tutti i cittadini, e ritiene che occorra migliorare nonché accentuare la strada dell’internalizzazione, con il nobile fine di aumentare il grado di partecipazione fra gli utenti, e anche con il nobile fine di accrescere il numero dei posti di lavoro sicuri per le giovani e meno giovani generazioni precarie. Questa è una visione.
Un’altra visione viene espressa dai candidati Carlo Calenda e Andrea Bernaudo, quest’ultimo in modo più radicale. La visione di Calenda è liberista “soft”, quella di Bernaudo è liberista “radical”: le definizioni, si sa, sono mobili e talvolta relative ma possono di volta in volta contribuire a rendere un’idea, nell’arduo mondo della comunicazione opinionistica, sui giornali. Con il nobile fine di spezzare i rami secchi, costosi e improduttivi, di togliere le manomorte e diminuire il grado di corruzione, con l’auspicabile fine di aumentare il livello qualitativo dei servizi romani, diminuendo gli sprechi, la visione non-socialista propone una esternalizzazione dei servizi. Tra i due candidati ‘liberali’ la visione esternalizzatrice è differente, moderata ed eventuale per l’uno, assolutamente necessaria e missionaria per l’altro. Ciò lo intuiscono molti degli auditori dai loro interventi sui social o nelle serate di divulgazione politico-elettorale.
Due visioni, concentrate su candidati con graduazioni, storie, sensibilità, equilibri e colori differenti: sarebbe accattivante un confronto in materia di gestione dei servizi dinnanzi alla cittadinanza e davanti ai frequentatori o turisti della romanità, interessati alla romanità. Sarebbe bello analizzare, in modo semplice e accessibile a tutti, le tipologie e le conseguenze eventuali di una maggiore internalizzazione, e quelle di una esternalizzazione moderata o radicale. È cosa buona e giusta ragionare e non partire per partito preso, e ancor buono e giusto è rendere grazie alla ragione in sé e ai suoi meccanismi causalistici di cognizione, elaborazione e soluzione eventuale dei problemi presenti in città. Ho avuto modo di ascoltare questi tra i vari candidati, e la cultura per tenere un discorso strutturato sul piano dell’amministrativismo ce l’hanno. Resto in attesa di concedermi il tempo per accogliere gli inviti ad ascoltare approfonditamente gli altri candidati, e le occasioni sono già all’orizzonte. La completezza nell’ascolto di tutte le campane è fondamentale, in politica come nel decisionismo incessante della vita. Anche in amore davanti a più situazioni amorose incompatibili fra loro, al di là di ogni ragionevole poliamore o amore transpersonale, occorre sceglie una via propria, calzante all’io specifico e non solo a generica misura dell’io. Una cosa più o meno simile – ma non uguale – si ha in politica, con le scelte politiche.
Sulla specifica, peculiare questione dell’esternalizzazione dell’Atac, Radicali italiani e Radicali Roma hanno portato avanti le proprie vertenze evolutive con campagne e appuntamenti referendari, vicende amministrative e giudiziarie, tavoli e convegni. Radicali Roma sta appoggiando una lista del centrosinistra, non rientrando così nel polo calendiano e restando indipendente dalle scelte che la maggior parte degli attivisti di Più Europa sta facendo nel sostenere la candidatura di Calenda. Quest’ultimo aspira a rafforzare un polo politico ed elettorale ‘liberale’, differente dal centrosinistra e dal centrodestra, come chiaramente ha sostenuto anche nel comizio di Piazza Testaccio a inizio luglio. La politica è bella anche perché chi la studia nei suoi versanti amministrativi, giuridici, costituzionali, sociologici e valoriali, può modellare determinate soluzioni e scartarne altre a seconda delle esigenze di un “qui” e di un “adesso”, talvolta di un “giammai più”: in una relatività post-ideologica che, non dismettendo mai la ricerca di buoni ideali da promuovere e per cui militare, non diviene mai relativista. La politica in senso vivo e vivido è bella, perché chi la vive non cade mai nel nichilismo, ch’è un polo uguale e contrario rispetto al polo degli assolutismi, malattie politiche arcaiche, tipiche delle ideologie autoritarie storiche.
Ritornando a Roma, nel confronto tra la visione dell’internalizzazione sociale e accessibilista da un lato, e le visioni multilivello di esternalizzazioni dall’altro lato, gli elettori e gli habitué capitolini potranno, nel centro come in tutti i quartieri, comprendere, formarsi un’opinione sulla base di idee chiare, e poi scegliere. Nel confronto tra visioni la politica riprende la dignità che le spetta, oltre ogni irragionevole nichilismo di populistica maniera. Un po’ con ironico sorriso, speranzoso, mi sovvengono alcuni passi di Orazio, tradotti dall’amico Pinelli ed editi dall’amico (di alcuni pugliesi simposi) Basile: “Espierai innocente tu, Romano, le colpe dei tuoi avi fino a quando la dignità ridata non avrai ai templi, alle dimore fatiscenti degli dei ed ai loro simulacri, da nero fumo deturpati. Imperi perché inferiore ad essi ti protesti: da loro ogni principio prendi, a loro la fine tu riporta. Molti mali alla miserevole Esperia diero gli dei negletti”.
Dopo tredici anni che frequento, vivo, amo, esploro, indipendente e imperterrito, la Capitale metropoli del Belpaese, ove ivi vi parteggio concentrandomi sul merito di alcune questioni e mai per partito preso, pur avendo rifiutato un’insistente candidatura al primo municipio dai conoscenti di battaglie di Italia viva, pur avendo ricevuto e non accettato richieste di supporto tecnico-giuridico dai conoscenti del centrodestra moderato e da quelli del centrosinistra, per la mia voglia di restare totalmente indipendente rispetto agli specifici partiti almeno per un altro po’ di tempo, voglio elevare un auspicio per gli altri; per chi si candiderà nei municipi tutti, con ogni ruolo, e per chi si candiderà alle onerose vette capitoline, a partire dagli aspiranti sindaco. Roma: chiunque si candidi ad amministrare questa Capitale città, dovrà farsi anzitutto servo della sua eterna, materica nonché spirituale bellezza.
di Luigi Trisolino