lunedì 5 luglio 2021
La pandemia ha reso più rapida la digitalizzazione: anche i processi di automazione erano fattori presenti ma affrettati dal Covid che obbligava a evitare i contagi, quindi a spostare i sistemi produttivi e distributivi verso la comunicazione. Si potrebbe definire l’epoca recente come quella della comunicazione e conseguentemente della globalizzazione mediante la comunicazione.
La comunicazione rafforza la globalizzazione, la rende capillarmente globale, ogni minima porzione del pianeta viene raggiunto da ogni altro luogo, ciascuno è centro e periferia del mondo in qualsiasi luogo del globo si trovi: è connesso totalmente. Ciò comporta problematiche egemoniche mai sperimentate. La comunicazione non solo facilita ma impone la globalizzazione, giacché quest’ultima è globale. Oggi è realizzabile una effettiva globalizzazione, una pervasione planetaria: i mezzi di comunicazione e l’informatizzazione dell’economia la consentono. L’esercizio del potere passa per la comunicazione, sia come influenza sull’opinione pubblica sia nei processi produttivi e distributivi economici.
La Cina ha una sua specifica modalità globalista, la svolge mediante la penetrazione economica, avvalendosi delle tecnologie informatiche e di altre caratteristiche: bassi costi, merci di uso corrente che la rendono dominante anche per il possesso di mezzi di trasporto, porti, vie di transito. La globalizzazione cinese è fondamentalmente economica.
Totalmente diversa la globalizzazione statunitense che si volge ad alleanze militari, semmai ad ostacolare la globalizzazione economica cinese ma non a sostituirla. Questa difformità della modalità globalista rende drammatica la situazione. La Cina sembra inarrestabile nella sua diffusione globale economica oggi rinvigorita dai sistemi di comunicazione, gli Stati Uniti tentano di arginarla.
L’asimmetria delle strategie – economica quella cinese, fondamentalmente militare quella statunitense – non offre una alternativa economica, la Cina non sarebbe sostituibile con gli Usa. La situazione di conflittualità non pare risolvibile, al presente. Gli Stati Uniti cercano di contenere l’espansionismo economico e quindi politico della Cina in modo puramente negativo, come barriera, ma non offrono un’alternativa economica. Ciò rende la situazione tortuosa e frena la chiusura occidentale al commercio con la Cina.
Ma continuando a commerciare non vi è l’isolamento della Cina auspicata dagli Stati Uniti. La circostanza che la Cina “esca” dalla pandemia senza gli eclissamenti produttivi dell’Occidente e i complicati rapporti tra occupazione, nuove tecnologie e “debito buono” suscita preoccupazione angosciata negli Stati Uniti. Questa la rappresentazione dei fatti.
Le dichiarazioni del presidente e del segretario di Stato nord-americani sono vibranti, ultimative. Di certo, in epoca globalista, sarà impervia la coesistenza di due o più globalismi. In linea di principio, il globalismo può essere stabilito da uno soltanto dei protagonisti. Oltretutto asimmetrici. Perché se Cina e Stati Uniti stabilissero ampi rapporti commerciali paritari forse uno spiraglio si mostrerebbe. Ma pare vi sia inevitabile squilibrio.
Troppi capitali da investire da parte di Paesi potentissimi e lo scontro per averne remunerazione, impedendo all’altro di averne, non è un buon auspicio per il futuro. Mai nella storia la rivalità ha spaziato per l’intero pianeta come oggi: è una effettiva tensione globale, assai maggiore per estensione della rivalità tra Stati Uniti e Unione Sovietica. E, si diceva, due globalismi sono logicamente insostenibili, il globalismo è totalizzante, specie se asimmetrico. La Cina nel commercio non ha rivali ma li subisce nel campo militare.
In linea di principio solo con le armi si potrebbe fermare l’espansionismo cinese economico e politico. I prossimi anni dispiegheranno le vicende di questa conflittualità. Agli atti la situazione è così determinabile: espansionismo economico cinese, tentativo statunitense di suscitare alleanze di contenimento e di freno ai commerci con la Cina da parte occidentale con la “garanzia” militare. Misura che vale anche nei confronti della Federazione Russa.
di Antonio Saccà