Il referendum radicale di Salvini nell’indifferenza della classe dirigente

venerdì 2 luglio 2021


Chi rappresenta l’associazione “Vittime della Giustizia e del Fisco” non può che sperare in una riforma della giustizia, in leggi che affranchino il normale cittadino dalle torture giudiziarie. Ma sogni e speranze si scontrano con la realtà, soprattutto con le vili consuetudini italiane. Lo strumento referendario è massima espressione democratica, incarna la cultura di libertà d’un popolo, ma l’Italia ha due facce, quella solare di chi parla per strada con la gente e poi c’è quella ovattata e paludata dei salotti bene. Quale delle due facce la spunterà? Vincerà l’uomo di strada o il partito ombra (e gattopardesco) dei salotti? E poi siamo sicuri che la gente di strada (vere vittime della giustizia) correranno alle urne per sostenere i sei referendum sulla giustizia? Cominciamo col dire che il partito ombra dei salotti ha già tentato di deviare l’attenzione. Lo ha fatto rendendo note le immagini delle torture carcerarie, delle violenze sui detenuti da parte delle guardie.

Che nelle carceri italiane si consumino continuamente violenze, omicidi e suicidi, ce lo diciamo da sempre: col buon Arturo Diaconale (era amico, collega e direttore di rara sensibilità), con Marco Pannella e con Rita Bernardini abbiamo difeso tantissimi cittadini vittime delle strutture detentive italiane. Lo scrivente ha subito processi e minacce da parte di 007 italiani per aver portato all’attenzione dell’opinione pubblica molti casi di torture carcerarie. Era evidente come dietro ogni singola violenza carceraria si celasse la volontà (e l’ordine superiore) di neutralizzare ogni speranza di giustizia per il detenuto. Quasi sempre a subire violenza sono gli innocenti, chi ingiustamente condannato, le vittime della giustizia. Nessun cittadino dovrebbe conoscere le violenze carcerarie, e questo fenomeno rende le carceri italiane simili a quelle turche, dove per altro la violenza sui detenuti viene giustificata dalle autorità di Ankara. Ma veniamo alle immagini riprese nel carcere di Caserta, perché hanno tutta l’aria di voler deviare l’attenzione dai referendum. Come per dire al Parlamento: evitiamo di riformare carriere e vita dei tribunali, e invece dimostriamo all’Europa che aggiustiamo la situazione delle carceri. Insomma, un mero contentino, e perché si spenga l’attenzione politico-mediatica sui referendum.

Di fatto deputati e senatori non vorrebbero mai affrontare lo spinoso tema della riforma della giustizia, e perché ognuno di loro ha famiglia e, soprattutto, temono finire nel mirino d’un pubblico ministero per qualsivoglia motivo. Per la maggior parte sono pavidi ben stipendiati. Ecco che hanno visto nel referendum di Matteo Salvini e Radicali un modo per dire: “Salvini e i Radicali portano avanti il referendum poi, se anche il popolo dovesse promuovere i quesiti, sempre al Parlamento passerà la palla e qui, tra lungaggini e aggiustamenti nebulosi, si cercherà di non recare danno ai vari poteri. Poi non dimentichiamo che c’è sempre il presidente della Repubblica, che ben si guarderebbe dal recare dispiacere ai vertici della magistratura”. Non a caso il referendum è promosso da Salvini (non coinvolge propriamente la Lega) e dai Radicali, da sempre attenti al problema. Gli altri partiti, tra un “bravo” e una timida pacca sulle spalle, si sono messi alla finestra, e senza tanto crederci. Nella stessa Lega c’è chi sogna questi referendum segnino la sconfitta e il tramonto di Matteo Salvini: un po’ come capitava all’eroe ottocentesco francese Georges Boulanger, a cui popolo e politica voltarono repentinamente le spalle dopo che s’era gettato di cuore nella battaglia contro la corruzione di giudici e alta burocrazia.

Quindi, a parte i toni enfatici e propagandistici dei proponenti, emerge l’indifferenza di molti vertici dello Stato verso i quesiti referendari. Al punto che si dubita possano fungere da stimolo (o messa in mora) dell’esecutivo per una nuova politica in tema di giustizia. I primi di giugno, con il deposito di sei quesiti referendari in Cassazione, è iniziata la campagna referendaria sulla giustizia. Ma, a parte gli addetti ai lavori che ne dibattono nei soliti spazi televisivi e di carta stampata, l’intero Stivale sembra rapito solo da campagna vaccinale, calcio, vacanze e cercare di non perdere il lavoro. Intanto siamo arrivati a luglio, ed è partita la raccolta delle firme: perché la promozione del referendum abbia valore costituzionale necessita si superino le cinquecentomila firme. Salvini sostiene che se ne raccoglieranno almeno il doppio: questa posizione allontana il Pd e le sinistre (e avvocati loro simpatizzanti) dal firmare a favore; anzi non votano proprio, reputando questo lodo un referendum sulla persona di Salvini. La scadenza per il deposito delle firme in Cassazione è fissata per il 30 settembre: dove l’ufficio centrale per i referendum vaglierà la validità e la sufficienza del numero delle sottoscrizioni. Se il referendum verrà promosso dalla Cassazione, la parola passerà alla Corte Costituzionale, che dovrà esprimersi sulla legittimità dei quesiti. E non finisce qui con i tecnicismi, di ostacoli ce ne saranno parecchi.

Si rimarca di credere nella buona fede di Matteo Salvini, Giulia Bongiorno, Jacopo Morrone e del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli: stesso discorso vale per i Radicali, il segretario Maurizio Turco, Irene Testa e l’avvocato Giuseppe Rossodivita. Ecco che, i parlamentari per un po’ di tempo, grazie ai referendum, possono evitare d’esporsi con proposte che risolvano il problema giustizia. Qui si comprende che i referendum sono di Salvini, Calderoli e seguaci e non coinvolgono la Lega e la sua posizione nell’esecutivo Draghi: sul piano politico è evidente che una forza politica di governo cerchi accordi in materia giustizia, e in forza del proprio potere legislativo, mentre a una forza d’opposizione non rimanga che usare anche la leva referendaria. Il referendum è lo strumento principe delle minoranze estranee al potere, che reputano così di contrastare (forse abrogare) leggi non adeguate. Lo scrivente reputa più che validi i contenuti dei referendum: ma stampa, televisioni, accordo 5Stelle-Pd, sindacati, burocrazia, pubblico impiego… sono tutti coalizzati contro i referendum. A favore ci potrebbero essere solo i seguaci di Salvini e i Radicali.

Anche perché certa stampa sta strumentalizzando il quesito “Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo del 31 dicembre 2012, n° 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n° 190)?”: ovvero la legge Severino. Salvini sta chiedendo ai cittadini d’abrogare l’intero testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità (decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235): e il mainstream ribatte che il leader della Lega vuole così scongiurare la sua non ricandidatura. Insomma, Salvini verrà crocifisso per il solo aver proposto questo quesito, portando evidente vantaggio a qualche suo oppositore interno. E non dimentichiamo che in Parlamento siedono avvocati, giornalisti, magistrati e alti dirigenti dello Stato, tutti con amicizie tra chi non vuole separazione delle carriere e mutamento dello status di giudici e pubblici ministeri. Quindi solo una autorevole classe dirigente, del livello di quella che reggeva la Prima Repubblica, potrebbe varare in Parlamento modifiche radicali dell’assetto costituzionale e della fisionomia del processo penale: per farla breve, correggere anche quanto partorito con la riforma del Codice di procedura penale del 1989. Perché quest’ultimo ha trasformato il partito dei giudici nel vero e unico potere, in grado di determinare in Italia i rapporti tra politica, partiti, impresa, economia, banche.

L’impervia scorciatoia referendaria, potrebbe portare sul rogo solo Salvini, mentre i Radicali continuerebbero le loro battaglie, e la classe dirigente italiana rimarrebbe alla finestra. Perché il quesito sulla “responsabilità civile diretta dei magistrati” ricorre da decenni, e se in un sogno passasse per intero, abbraccerebbe lo scottante tema della responsabilità civile e penale di magistrati e alta burocrazia: sappiamo bene che per questi ultimi (oltre che per i grandi manager) questo Parlamento ha lavorato a una poderosa scudazione giudiziaria, giustificando la cosa come utile alla ripresa dell’Italia, perché il timore d’un processo non freni l’audacia della classe dirigente. Così da un lato sono in gioco gli interessi di migliaia di cause civili e penali (milioni di cittadini sulla graticola) e dall’altro l’intreccio di potere che di fatto controlla le leve decisionali del Paese. In tanti si chiedono come mai il governo Draghi, esecutivo caratterizzato da una forte leadership, non abbia tentato la riforma della giustizia? E non potrebbe succedere che il “sistema” imputi a Salvini d’aver ulteriormente guastato il rapporto tra magistrati e cittadini? Sarebbe bello sapere chi ha spinto il leader della Lega a farsi ritrarre sullo stesso destriero bianco che celebrava “l’italiano corso d’Ajaccio” prima della campagna di Russia.

 

 

 


di Ruggiero Capone