Berlusconi ci riprova

giovedì 17 giugno 2021


Silvio Berlusconi torna di nuovo sul futuro del centrodestra italiano riproponendo ancora l’unione di tutti i soggetti di quest’area politica in un unico partito, sul modello dei Repubblicani francesi o americani o dei Conservatori inglesi. Nella mente del Cavaliere questo nuovo partito dovrebbe accogliere tutte le anime della destra italiana – dai liberali ai sovranisti, dai conservatori ai cattolici, dai moderati ai riformisti – e dovrebbe essere saldamente ancorato al Partito Popolare europeo.

Non è la prima volta che tale proposta viene avanzata dal leader di Forza Italia: negli anni passati aveva più volte lanciato questa sfida, invitando a mettere da parte le divisioni e a unire le reciproche forze in pochi punti programmatici per cambiare l’Italia. Tuttavia, come regolarmente avvenuto in passato, le reazioni degli alleati – e persino della stessa Forza Italia – sono state tutt’altro che entusiaste o propositive rispetto a questa trovata. Matteo Salvini liquida la faccenda sottolineando la sostanziale differenza tra l’ipotesi di federare i singoli partiti e di cooperare per un determinato obiettivo – ciascuno mantenendo la sua indipendenza e la sua identità – e dare vita a un soggetto politico unico che, a giudizio di Salvini, servirebbe solo a creare confusione e non interesserebbe minimamente agli italiani, le cui priorità sono altre e che si aspettano di ricevere risposte concrete, a prescindere da come si chiami il partito o la coalizione pronta ad offrirgliele.

Non meno gelida la reazione di Giorgia Meloni, la cui chiusura a un ipotetico “partito unico del centrodestra” (così come definito da Berlusconi) è altrettanto netta di quella di Salvini: se già la leader di Fratelli d’Italia aveva rifiutato l’ipotesi di una federazione (percepita come un tentativo di estrometterla e di frenare la sua apparentemente inarrestabile ascesa nei sondaggi e nel gradimento degli elettori), si può solo immaginare quale possa essere la sua opinione rispetto a una soluzione che vedrebbe il suo partito confluire in una sigla unitaria.

L’esperienza del Popolo della Libertà, dalla cui scissione Fratelli d’Italia è nato, è presumibilmente ancora viva nella memoria di Giorgia Meloni, che abbandonò il partito di Silvio Berlusconi proprio perché giudicato troppo “tiepido” nella difesa degli interessi nazionali. Per quanto riguarda Forza Italia, se la proposta del Cavaliere riceve il plauso di uno dei suoi fedelissimi, Antonio Tajani, più scettiche sono le reazioni dei “big” come Mara Carfagna e Mariastella Gelmini: senza contare che – si vocifera proprio per volontà di Berlusconi – tale ipotetica formazione rimarrebbe chiusa agli eventuali “fuoriusciti” (il riferimento a Giovanni Toti e a Luigi Brugnaro è abbastanza evidente). In poche parole l’idea avrebbe lasciato freddi non solo gli alleati, ma anche gli stessi forzisti.

Diciamo che l’idea di un partito unico della destra italiana è sicuramente una prospettiva allettante: per chi – come il sottoscritto – è cresciuto politicamente “all’ombra” del conservatorismo anglosassone e della Destra storica, immaginare una sorta di “Partito Conservatore italiano” o di “Repubblicani d’Italia” non può che essere una visione rassicurante e auspicabile. Questo in linea di principio. Ma nella pratica, bisogna chiedersi quanto questa via sia praticabile e, soprattutto, se sarebbe capace di conseguire i risultati sperati.

Primo, l’esperienza della politica italiana dimostra che le “fusioni” tra partiti diversi durano poco: vuoi per il protagonismo dei singoli leader, vuoi per la tendenza settaria della politica italiana, vuoi per un eccessivo rigorismo delle correnti, alla fine i “partitoni” finiscono per implodere lacerati dal conflitto interno (come nel caso del Popolo della Libertà) o, se resistono, finiscono sempre per perdere pezzi strada facendo e per doversi mettere comunque in coalizione con le sigle nate dalle scissioni (come nel caso del Partito Democratico, che non vincerebbe una sola tornata elettorale senza il sostegno dei vari “Articolo 1”, “Sinistra italiana” e simili).

Secondo, il bipolarismo partitico – sul modello americano o inglese – è qualcosa di estraneo alla nostra storia politica: persino al tempo dei partiti di massa come la Democrazia Cristiana o il Partito Comunista c’erano formazioni minori, più a destra o più a sinistra, con le quali bisognava intrattenere rapporti e tessere alleanze. Quello che ha funzionato in un tempo in cui la politica veniva presa sul serio (pur non essendo affatto seria) difficilmente potrebbe funzionare adesso.

Terzo, ciascun partito ha la sua storia e la sua tradizione culturale di riferimento e pur potendo coesistere e trovare un compromesso, difficilmente potrebbero convivere in un unico soggetto. Come si fa ad amalgamare l’identità federalista e autonomista della Lega (per quanto moderata in seguito alla “svolta nazionale”, ma ancora viva e vegeta) con l’inclinazione nazionalista di Fratelli d’Italia, critico nei confronti del decentramento politico-amministrativo? Come possono stare assieme le istanze sovraniste di Salvini e della Meloni con l’europeismo – a tratti ingenuo – di Forza Italia?

Negli Stati Uniti come in Gran Bretagna esistono due grandi partiti, ma non sono nati dalla fusione di più realtà, bensì vengono alla luce sin da subito come macro-aree politiche, all’interno delle quali si sono poi sviluppati più filoni di pensiero. In Italia dovrebbe accadere esattamente l’opposto. Tutto questo mi induce a ritenere la proposta di Berlusconi impraticabile e controproducente sul piano pratico, per quanto desiderabile in astratto. Meglio che ciascuno conservi la sua identità e il suo nome e che ci si sforzi di andare d’accordo per il bene dell’Italia e per impedire alle sinistre di fare altri danni, piuttosto che rischiare di dare vita a pastrocchi che deluderebbero le aspettative degli italiani.


di Gabriele Minotti