Gulag Italia

martedì 8 giugno 2021


La realtà angosciata di una democrazia crepuscolare

In “La lunga strada rossa” di qualche mese addietro e ancor più nel precedente scritto “Eredi di Gramsci?”, facevo collimare, in larga parte, la prospettazione del dramma di questo Paese con lo psicodramma di una sinistra, che schizofrenicamente non è ancora riuscita a liberarsi di miti e simboli di una storia in buona sostanza irrisolta, tesa soltanto ad una qualificazione di self promotion, utile a coprire una memoria essenzialmente di segno contrario.

I tratti distintivi di una sinistra che ha metastatizzato la sua azione politica sino ad uno stato di lucida follia istituzionale sono ancora oggi l’ossessione per l’occupazione e la gestione del potere e di tutti i suoi recessi, la psicosi del controllo egemonico della società e della cultura secondo l’elaborazione gramsciana della “teoria dell’egemonia”, nonché una odiosa ancora persistente pedagogia dell’intolleranza, con tutte le sue inumane intransigenze di una sorta di nuova “crociata religiosa”, verso un’idea di destra, ancorché nel suo complesso di stampo sicuramente liberale come quella attuale, solo a mala pena sopportata, con disprezzo e sarcasmo, in nome di una presunta superiorità intellettuale, l’ideale del “filosofo re”. Insomma, le sue ambiguità retoriche e le scelte opache dell’incertezza continuano a tradursi nell’immediatezza isterica del capolinea mobile di una condizione sostanzialmente insoluta.

Incapace di afferrare la gravità storica e politica in cui la Nazione sta precipitando, affetta da una sorta di semplicismo o, se si vuole, di fanatismo di idee non meno che da deficienza spirituale, questa sinistra, spesso coadiuvata dagli “scarafaggi” al suo servizio, animata da una nuova strana utopia pantoclastica, una miracolosa inedita palingenesi sociale, si sta ingolfando in toto in un’idea di becera socialità, quasi una nuova guerra di classe, un muro divisorio – a suo pensare – tra due classi duellanti sia nell’etica, sia nei costumi, sia nella logica sia nella grammatica. Una sorta di costituzionalizzazione di “diritti sociali”, limitando però i diritti di libertà, imponendo per legge l’obbligo del “politically correct”, limitando la libertà di espressione e fors’anche di pensiero: insomma, un vero e proprio festival della idiozie e delle turpitudini, una tragicommedia quotidiana dilagante in una fantasmagoria triviale senza limiti, un ideale di società incubosa e una sindrome da “democrazia livellata”, contenente in nuce i germi del totalitarismo burocratico, che trova la sua ragion d’essere essenzialmente nel marchio d’infamia apposto sulla destra.

Una società, dunque, che sta rischiando la demenza prima dell’avvelenamento psicologico nella desolante cornice di un complessivo disegno ad destruendum. Prova ne sia, solo per fare qualche esempio, la mistificazione di scellerate politiche immigratorie o di sconcertanti idee in tema di imposizione fiscale ovvero in tema di lavoro o di lotta alle discriminazioni omofobiche che, giuste in via di principio, si traducono però, in buona sostanza, nella introduzione di una nuova figura di reato d’opinione oltre che in un disegno di indottrinamento su un’idea di indifferenziazione sessuale sin dai primi anni scolastici. E quello che appare grave, in linea con siffatta ideologia, è che anche il servizio pubblico televisivo, la così detta televisione di Stato, sovvenzionato fa fondi pubblici, propina a tutto spiano edulcorate, ingannevoli immagini di integrazione sociale ovvero di nuovi trend sessuali di pessimo gusto.

Se li vedete, quelli della sinistra, passano con supponenza tra le “rovine” della democrazia italiana – una democrazia che si sta inoltrando sempre più in uno stato crepuscolare – fra “putridi mucchi di immondizia”, senza mai volgersi indietro, con le loro “voluminose carte” sotto il braccio, in fretta, senza perdere un attimo di tempo: quel che essi vi diranno, se li interrogate, è che di certo qualcun altro è colpevole di tutto. Colpevoli sono quelli della destra per intenderci e, ancor prima, del craxismo, visto come il terreno di coltura del berlusconismo, non consentendo loro di governare indisturbati; successivamente quelli del leghismo e via via quelli degli gli altri schieramenti politici.

Costoro della sinistra non pensano neppure un istante a scomodarsi per rendersi conto che la crisi di questa democrazia è solo il risultato della creazione, innanzitutto da parte loro, di una moltitudine di illusioni e di menzogne: così continuano a guardare la destra, cioè la prassi liberale, attraverso il prisma deformante dell’ostilità ideologica. Per di più ora! E qui voglio tornare, per similitudine, a quello che avvenne – come ci riferisce Dino Grandi – a seguito della deliberazione del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943, ciò che decretò la fine del regime, allorquando il Re, forte del deliberato del Gran Consiglio, non trovò di meglio che scegliere come primo ministro il Maresciallo Badoglio, l’uomo più vile e più incapace – continua Grandi – che potesse essere chiamato dal sovrano alla guida del Paese, portando così al disastro l’Italia e la stessa Monarchia.

È con questo metodo della sinistra da galleria di orrori, in una precaria altalena di stati d’animo e timori di un disfacimento collettivo, che la democrazia italiana sta arrivando al suo capolinea! Il tutto ha l’apparenza di una farsa: ma è l’anticamera della tragedia! Né, dunque, varrà allora la pena di ricorrere, da parte di tutti noi, alla formula assolutoria e autoassolutoria dell’omnes peccaverunt e sostenere che la universalità della colpa ne comportava in automatico la remissione. In siffatta desolante situazione, che rischia di trasformare il Paese in un “gulag”, un vero e proprio recinto ideologico e culturale, espellendolo così dal gruppo di Stati a piena libertà, non so quanto sia ancora proibito il sogno di una “Grande Destra” liberale, che sappia ritrovare e infondere il senso di una libertà che coincida con la “dignità” della persona. Ora dobbiamo veramente chiederci tutti “stiamo o no allargando l’area della libertà?”, e ciò deve rimanere l’item del pensiero liberale.

Di certo gli insuccessi circa la formazione di una “Grande Destra” abbracciano tutta la vita della Repubblica: una “Grande Destra”, che all’inizio dovette scontare anche la delegittimazione politica dovuta alla sua relegazione nell’area del conservatorismo sociale e del reazionarismo politico, è oggi maggioritaria nel Paese ed è calata in toto nell’area liberale con tutte le sue componenti, per cui un’operazione di reductio ad unicum, ancorché non semplice, è ora possibile anzi necessaria.

A volerli brevemente scorrere ci si rende conto di quanto sia stato finora astruso un rassemblement alla destra dello schieramento politico: la mancata fusione del Partito Liberale italiano con il Fronte dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini nel ’46, la mancata formazione del “Blocco delle forze nazionali” nelle elezioni amministrative nel 1951/52, la scissione monarchica in due partiti nel ’53, il fallimento nel 1958 del progetto di riunificazione di cui si era fatto promotore Giovanni Messe con il suo movimento “Unione Combattenti d’Italia”, la tardiva fusione nel ’59 dei due tronconi monarchici, l’insuccesso del Governo Tambroni appoggiato dai voti del Movimento Sociale italiano e, da ultimo, lo sfaldamento del “Popolo delle Libertà”, nato dalla fusione di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Unione dei Democratici cristiani e di Centro, per rivalità interne e fattori esogeni in agguato.

Però la “sconfitta della destra” non è stata – come già dicevo in altra occasione – solo una sconfitta politica, ma un insuccesso soprattutto culturale, che si identifica con l’eclissi del pensiero liberale dell’Italia repubblicana. Un declino però che oggi è possibile ribaltare, data l’acquisizione e la condivisione ormai indiscussa dei valori liberali da parte di tutti i partiti della destra/centrodestra; un’azione che si rende indispensabile per contrastare la “claque assassina” dello Stato liberale protetto e reagire alla “valanga di immondizia” che ogni giorno la sinistra, con tanto di verde tartaro nei denti, ci scarica addosso. Una union sacrée, dunque, volta alla riaffermazione del liberalismo come metodo e come teoria della libertà, in uno alla sua protezione, come esigenza assoluta che non nasce da una preoccupazione di minaccia di interessi particolari, ma dalla fede nella libertà e nella sua superiore missione etica utile di tutti, in cui la passione politica si erga come istanza morale.

Qui è la “linea del Piave”, la linea di difesa suprema, di “protezione” della libertà, di salvaguardia dello Stato liberale, affinché sia assicurato il fluire ininterrotto delle libertà essenziali a fronte del pericolo che questo monstrum sinistroide, duro a morire pur a fronte del suo fallimento storico, possa via via richiedere l’estinzione della libertà, non quella formale bensì quella sostanziale dell’allargamento della partecipazione democratica alla vita politica del Paese, ed espandere sempre più la sua attività verso l’assolutismo, cioè la conquista di tutto e di tutti, persino nelle coscienze.

Certo, noi liberali di ogni dove non sogniamo restaurazioni di sorta, e men che mai restaurazioni intransigenti e parrucchine, poiché ammettiamo largamente le mutate esigenze dei tempi. Consci delle gravissime difficoltà economiche e sociali che spettano all’Italia, pronti ad ogni forma di collaborazione perché giuste riforme possano andare incontro al popolo, con la libertà e con la legge, non saremmo liberali se non ci battessimo contro lo Stato assistenziale che, subordinando l’individuo allo Stato, introduce in maniera subdola, sotto forma di benefici tout court, una sorta di collettivizzazione strisciante, a vantaggio di un settore parassitario sempre più vasto. Non saremmo liberali se non ci battessimo contro il dilagare del malcostume e contro la soppressione della libertà.

Al dono della dignità che ci viene offerto dall’antiliberalismo, guardiamo con lo sguardo rivolto da Cassandra al cavallo acheo che vide entrare dalle Porte Scee! Ma non vorremmo un giorno scrutare idealmente dall’alto, con mortificata pietà, una “Nuova Italia”, così cara alla sinistra, che “percorsa dal riflesso abbagliante del sole nelle nuvole bianche, apparirà in un livido candore di gesso”.


di Francesco Giannubilo