La vocazione totalitaria (e stalinista) del M5S

venerdì 19 febbraio 2021


Ben 15 senatori del Movimento 5 Stelle hanno votato contro la fiducia al Governo Draghi provocando le immediate reazioni della dirigenza del partito grillino che, infatti, ha minacciato tuoni, fulmini ed espulsioni per sanzionare questa così grave insubordinazione, facendo affermare a Matteo Mantero che il M5S rischia di diventare il partito del monopensiero. L’occasione si offre propizia per scandagliare all’interno di questo squarcio la reale natura del partito grillino, che dal fondo dell’abisso della sua acrimonia ideologico-politica lascia esalare i fumi tossici e sulfurei della propria radicata ed inestirpabile vocazione totalitaria. Le tendenze giustizialiste, le numerose espulsioni, il manicheismo politico che divide tra onesti e disonesti l’intera classe politica italiana, sono tratti oramai ben noti dell’esperienza e della retorica grillina, sebbene siano soltanto i sintomi più evidenti di un male anteriore e ben più profondo, cioè la riduzione al pensiero unico tramite metodi totalitari. Tale vocazione totalitaria, del resto, prima di essere registrata negli effetti, non può che essere individuata nelle cause, cioè in quel costante ed esplicito richiamo al pensiero di Jean-Jacques Rousseau a cui i fondatori, i sostenitori e i sodali del partito grillino si rifanno espressamente – e non soltanto secondo modalità digitali – fin dagli albori della propria origine.

Preliminarmente ad ogni ulteriore riflessione sul punto occorre evidenziare una doppia contraddizione di fatto nella linea d’azione del partito grillino. Presentatosi come alternativa politica ad una classe politica senza alternative è presto divenuto – dovendo scendere a patti più con la realtà di una democrazia parlamentare quale l’Italia è piuttosto che con tutte le più diverse teorie – l’unica stampella parlamentare dei più disparati governi che si sono succeduti in appena un triennio. L’intransigenza ideologica iniziale che non consentiva al partito grillino neanche di discutere di alleanze con le altre forze di destra o di sinistra, si è ben presto magicamente liquefatta sotto il sole cocente della realtà, rendendolo la pozza più torbida e gigantesca di organizzato trasformismo politico della vita repubblicana, ritrovandosi al governo praticamente con tutte le forze dell’arco costituzionale, dalla Lega a Italia Viva, dal Partito Democratico e Liberi e Uguali a Forza Italia. A questa contraddizione si aggiunge quella del caso in questione, cioè il voler sanzionare con l’espulsione quei parlamentari che, rifacendosi all’originaria purezza del movimento grillino, si sono rifiutati di concedere la propria fiducia al Governo di Mario Draghi, non soltanto espressione di quell’europeismo finanziario contro cui in principio militava il M5S, ma per di più sostenuto da tutte quelle forze politiche che originariamente il M5S intendeva rinchiudere nelle patrie galere gettando via la chiave.

Sulla questione principale, occorre comprendere come si alimenta la vocazione totalitaria del partito grillino. Il richiamo a Rousseau svolge un ruolo primario. In primo luogo: dagli storici e dai filosofi del pensiero giuridico e politico, Rousseau è considerato il ganglio di congiunzione tra il pensiero assolutistico del ‘600 e la prassi totalitaria del ‘900, uniti dal giacobinismo del XVIII secolo di cui proprio Rousseau è l’ideologo di riferimento. In secondo luogo: lo stesso Rousseau, le idee del quale sono probabilmente ignote alla maggior parte dei grillini che pur tuttavia vi si riferiscono a grandi linee, dichiara la sua propria scarsa fiducia nei confronti della democrazia, soprattutto se rappresentativa, scrivendo infatti che “volendo prendere il termine nella sua rigorosa accezione, una vera democrazia non è mai esistita e non esisterà mai”. Proprio questa inossidabile mancanza di fiducia nella democrazia è la chiave di volta, che spiega le ineluttabili derive totalitarie del pensiero di Rousseau e di chi lo adotta nel tempo, come Robespierre durante la Rivoluzione francese o il M5S oggi. In terzo luogo: in questo contesto si inserisce l’idea di Rousseau di una insanabile contrapposizione tra la libertà del popolo e la sua rappresentanza, in quanto secondo il pensatore ginevrino “non appena un popolo si dà dei rappresentanti, esso non è più libero, non esiste più”, tanto che “i deputati del popolo non sono, né possono essere, i suoi rappresentanti, ma soltanto i suoi commissari: non possono concludere nulla in maniera definitiva”.

Ecco, quindi, che l’indipendenza del pensiero e della coscienza del singolo rappresentante si annulla e deve essere annullata per cedere dinnanzi alla volontà generale della politica, del partito, dello Stato. Ogni principio democratico è così rovesciato nel suo opposto, ogni diritto tramutato in dovere, ogni libertà ribaltata in coazione, ogni individualità soggiogata alla collettività, ogni particolarità schiacciata dalla totalità. Ci si ritrova così spontaneamente in quella desolata landa della storia e del pensiero che è stato lo stalinismo, secondo cui ogni dissenziente è un oppositore e ogni oppositore è un nemico che, come tale, deve essere espulso dal civile consesso tramite le purghe e la pubblica gogna. L’esito totalitario del pensiero di Rousseau dunque è inevitabile, così come la vocazione totalitaria del M5S che, in nome della democrazia, lavora per minarne dall’interno la struttura con la complicità esplicita dei suoi sostenitori e di quella implicita di chi non comprende la gravità di taluni fatti e di talaltre circostanze che, invece, dovrebbero essere massimamente attenzionate, per evitare che si ripetano in futuro gli stessi terribili orrori del passato.


di Aldo Rocco Vitale