Conte come Perón

lunedì 15 febbraio 2021


Per recuperare un po’ di informazione è necessario chiudere d’imperio tutti i social, che ormai sono di gran lunga il veicolo principale non solo delle notizie, false al settanta per cento, ma anche del sentimento nazionale, ispirato alle bufale. Giuseppe Conte lascia. La smemoratezza fisiologica induce alla ricostruzione storica fai-da-te. Così una certa sinistra neo-ingrillata celebra la sua uscita da Palazzo Chigi, raccontando di applausi lacrimevoli dei dipendenti, il cui motto continua comunque ad essere, nei secoli, fuori uno dentro l’altro.

Ma tanta commozione richiede un ripassino. La lotta con insulti e timide carezze fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini portò a un Governo giallo-verde da pace armata. I grillini abbozzarono sui barconi e, infine, divennero loro stessi vedette implacabili, salvo rinnegare tutto quando mutarono in rosso-verde. Ma se “Giggino” aveva i voti del Grande cambiamento e dell’Honestà, i seggi salviniani garantirono l’aritmetica della maggioranza. Dunque, urgeva un prestanome e quello fu una scelta dei Cinque Stelle, decisi a dimostrare che uno su dieci sapeva leggere e scrivere. Così, allo sconosciuto avvocato foggiano, debuttante nella politica vera, fu intimato di non profferire parola, lasciando parlare i due galli nel pollaio, limitandosi a introduzioni formali e ad annuire ammirato.

Fiorirono vignette e l’Italia rise di questo leader muto, del quale si racconta che chiedesse ai due diarchi il permesso di dire e che cosa. Il pasticcio che scoppiò al gran rifiuto di Salvini scatenò il panico nei poltronifici e, con offerte speciali reciproche, sorse il governo rosso-verde. L’eccellente e collaudata propaganda della sinistra inizia l’avvicinamento all’ex-nemico, ricicciato con nonchalance e riprogrammato con le antitesi di quanto sostenuto fino a quel momento. E lui non avrebbe mai immaginato di essere come Juan Domingo Perón, che aveva peronisti di destra e peronisti di sinistra. Ma l’argentino li aveva contemporaneamente, però. Il Covid fu il migliore alleato di Conte, le cui comparsate in sciatto ritardo su tutte le reti televisive lo trasformarono nell’uomo della provvidenza nella sventura, cancellando parole come “destra” e “profughi”, sostituendole con inni alla responsabilità e sfumando l’audio sui suoi colloqui europei fatti di cat is on the table.

Ora però che ci siamo liberati, oltre che del leader per caso anche di molti tunnel del Brennero, tanti feisbuccari bacchettano l’inesperto Draghi e gli insegnano come avrebbe dovuto comporre il Governo. Peggio delle poltrone governative ci sono solo quelle di casa, che avvolgono chiappe tuttologhe e onniscienti: fino a ieri eravamo nell’incubo e nel ridicolo, da un giorno all’altro Draghi avrebbe dovuto formare la squadra perfetta, d’imperio, senza alcuna trattativa politica, super partes e super inciucios. Questo si fa con la bacchetta, nelle favole, dove i draghi sono verdi. Mentre lui, per nostra fortuna, indossa un grigio-speranza. Con la minuscola.


di Gian Stefano Spoto