È il Governo del migliore

lunedì 15 febbraio 2021


Di veramente migliori, come invocava Silvio Berlusconi, in realtà c’è solo lui, Mario Draghi, perché per il resto di profili molto alti nel Governo ne vediamo pochi. Anzi, a dirla tutta osserviamo conferme che, francamente, andavano evitate. Ma visto che Draghi sulle acque ancora non cammina, nonostante l’autorevolezza e l’indole, ha dovuto subire qualche manina per aggiustare gli equilibri e le contraddizioni dei partiti. Insomma, detto fra noi alla fine è uscito fuori – anziché un Governo dei migliori – un Governo che, seppure in parte, è dei meno peggiori. Parliamoci chiaro: se Draghi fosse stato libero del tutto, probabilmente avrebbe fatto altre scelte, magari un esecutivo solo di tecnici. Oppure avrebbe chiesto ai leader di entrare: insomma, se avesse avuto libertà totale, chissà che nomi avremmo visto giurare al Quirinale. Ecco perché di migliore c’è solo lui e la via maestra sarebbe stata il voto, ma anche qui torna il principio della libertà, in questo caso quella nazionale. In qualche modo all’Italia è stato impedito di votare, perché nella Unione europea l’idea di trattare con un Governo di centrodestra a trazione Matteo Salvini non esiste. E non si vuole. È questa la ragione triste per la quale non ci hanno mandato al voto, perché state tranquilli: se il problema avesse riguardato la Francia o la Germania, nessuno in Europa o nel mondo, si sarebbe azzardato a porre veti oppure a condizionare le scelte sovrane dei due Paesi. Ma visto che noi contiamo poco o niente, ci impongono di tutto e di più.

Insomma, l’alternativa al Conte ter poteva essere solo quella di un ulteriore Governo ma non certo quella del voto. Ecco perché tra le opzioni alternative a Giuseppe Conte, quella di Mario Draghi è la migliore, la più autorevole in assoluto e, certamente, la più rassicurante rispetto ai mercati e al mondo finanziario che sostiene il nostro debito sovrano. Perché sia chiaro, l’arma letale in mano ai mercati è sempre quella. I titoli di Stato e lo spread, lo abbiamo visto con Berlusconi nel 2011 e se fallisse Draghi o ci fosse una scelta sconveniente, oggi altro che a 600: farebbero arrivare lo spread all’infinito, per distruggerci definitivamente e basta. Figuratevi poi in previsione del Recovery che, ricordiamolo non è un regalo, ma quasi interamente prestito. Dunque un debito che, sommato a quello già esistente, fa un debito stratosferico. E visto che nella Ue poco si fidano, c’è poco da fare: o bere, o affogare.

Il discorso sarebbe lungo e di certo l’Italia non sarebbe dovuta arrivare a questo punto di sudditanza e soccombenza, ma tant’è. Di fronte all’evidenza che va accettata, c’è solo da applicare un gran dose di realpolitik e Mario Draghi premier è garanzia assoluta di capacità, esperienza e competenza. Per farla breve, il centro di gravità è lui, Super Mario. Sarà lui a gestire l’economia, il Recovery. Sarà lui a trattare con l’Europa, col mondo che conta. Sarà lui a offrire quelle garanzie di tenuta e di ripresa ai mercati. Il resto del Governo sarà contorno, importante o meno ma contorno, dunque inutile polemizzare.

Ecco perché Draghi ha parlato di debito buono, di spesa produttiva, politiche attive. Ha detto basta bonus, stop all’assistenza clientelare, alle elargizioni elettorali. Ha annunciato una cesura col passato e la fine dello sperpero, dello spreco e della politica economica demenziale giallorossa, che ha bruciato il 10 per cento del Pil inutilmente. Ecco perché Draghi ha messo al centro la vaccinazione, la scuola, il fisco, gli investimenti, il sostegno a chi crea lavoro e fatturato. Lo ha fatto perché, su questi temi, coi giallorossi si è intervenuto molto male. Dunque, ministri o non ministri, sarà solo lui a dare linea e bussola del fare e dell’andare. Dopodiché, gestire un Governo di opposti non sarà facile per niente e ci vorrà polso, pazienza, intraprendenza.

Resta il fatto che questo sarà un Governo al massimo di due anni, perché Draghi si trasferirà al Colle. Dunque delle due l’una. O il prossimo anno, oltre al voto, per il nuovo capo di Stato si voterà per le politiche, oppure Sergio Mattarella prolungherà a gran richiesta fino al 2023, per consentire a Draghi di terminare la legislatura, prima di essere eletto nuovo presidente della Repubblica. Tertium non datur. Ecco perché alla fine, in due anni al massimo, l’esecutivo Draghi si concentrerà – e noi vigileremo eccome – essenzialmente sui problemi per favorire la ripresa economica, sul fisco e lavoro, sul piano d’utilizzo del Recovery, sull’uscita dall’emergenza sanitaria, sulla messa in sicurezza del Paese. È un traguardo ineludibile anche per forze così distanti che sono oggi al Governo, è soprattutto indispensabile per guardare a un futuro diverso e positivo. Il resto – dai ministeri suggestivi agli aggettivi per stupire i cittadini, fino alle promesse di un Paese da Star Trek – non ci interessa e lo rimandiamo al dopo. Prima o poi l’emergenza finirà e, che piaccia o meno, si tornerà a votare. E toccherà a noi di stare ben attenti a non insistere a sbagliare.


di Alfredo Mosca