venerdì 12 febbraio 2021
Purtroppo l’altalena di notizie sull’efficacia di questo o quel vaccino contro le diverse varianti, ci fa capire che, del comportamento del virus, non si è capito ancora molto.
Chi scrive crede che, quando si realizzerà che le epidemie virali possono essere sconfitte con tanta facilità quanta quella di svuotare l’oceano con un cucchiaino, sarà già un buon progresso. E allora si dovrà prendere atto che il Covid-19, come le altre malattie virali che l’hanno preceduto, si fermerà quando deciderà lui. Ossia quando, dopo aver fatto il suo viaggio tra la popolazione del globo, non riuscirà più a trovare ospiti suscettibili di infezione delle diverse varianti. Forse la sua letalità si attenuerà in via naturale, ma ci vorrà un tempo non stimabile.
Con i rischi del virus dovremo, probabilmente, convivere ancora a lungo e, ai vaccini – nihil est magis dubium quam tempus futurum – potrebbe non restare che inseguire, man mano, i nuovi, emergenti, ceppi. Salvo trovare preparati antivirali – e protocolli farmacologici – che possano curare i soggetti colpiti dall’infezione con ampia efficacia. Finché ci sarà possibile scegliere, si dovrà decidere quanto a lungo ci si possa permettere il lusso di vite economiche e di relazione, ridotte o sospese, come queste che, da lunghi mesi, viviamo. Perché non si sono fermati solo bar e ristoranti e i loro avventori, ma interi comparti produttivi e i loro mercati. Industria automobilistica, trasporto aereo, turismo, edilizia, settori della cultura e dello spettacolo, industria cinematografica. Persino uno dei nostri comparti trainanti, il made in Italy: chi compra più abiti, calzature e accessori se lockdown e smart working costringono a più casalinghe mises?
Nel frattempo migliaia di aziende continuano a chiudere i battenti ogni mese. Cassa integrazione e “ristori” (termine già grottesco in sé. Altrove li chiamano per quello che sono: risarcimenti) elargiti con ritardo e con il contagocce, sono ormai prossimi all’esaurimento dei fondi. Con impianti a scartamento ridotto, saracinesche abbassate, disoccupazione dietro l’angolo e mercati desertificati, chi produrrà per pagare le tasse necessarie a mantenere l’elefantiaca macchina statale?
Quando arriveranno i soldi del Recovery Fund – con annessi, stringenti, vincoli di destinazione – l’economia, fiaccata dalle variopinte restrizioni, sarà già in macerie. I nostri governanti hanno sprecato quasi un anno senza attrezzare il sistema sanitario, carente di uomini e mezzi, e facendo l’unica cosa che sanno fare molto bene: richiuderci tutti, con le grida manzoniane dei Dpcm. Gingillandosi, invece, con lotterie degli scontrini, bonus sciacquoni e banchi monoposto su ruote (che manco la Formula 1: moltissimi sono già “fermi ai box”, inutilizzati). E intanto cittadini e imprese tirano la cinghia. A queste ultime è stato imposto di non licenziare. Così affonderanno con i propri dipendenti. Anche andando avanti a debito ci vorrà sempre qualcuno che lavori e produca per comprarlo questo debito e altri – le attuali o le future generazioni – per ripagarlo.
Chi ci ha governato finora si è gloriato di aver messo il Paese nella direzione giusta, dando priorità alla salute sull’economia. Nemmeno questo è vero: oltre alla peggior performance economica, contiamo la maggior incidenza di vittime della pandemia. Speriamo che il premier in pectore si accorga che la strada intrapresa dall’incompetente suo predecessore ci ha indirizzati verso l’orlo del precipizio e dia una decisa sterzata, per evitare il disastro.
di Raffaello Savarese