lunedì 19 ottobre 2020
Nelle scorse settimane sono entrati in vigore diversi decreti legislativi in materia di rifiuti che attuano le direttive europee relative al pacchetto “Economia circolare”. In particolare, il decreto legislativo n. 121 del 3 settembre 2020 (discariche di rifiuti) stabilisce alcuni punti importanti: a partire dal 2030, sarà vietato lo smaltimento in discarica di tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, in particolare dei rifiuti urbani; entro il 2035, la quantità di rifiuti urbani collocati in discarica dovrà essere ridotta al 10 per cento o a una percentuale inferiore (mentre il 65 per cento per il riciclo e il 25 per cento per il recupero energetico tramite gli impianti di termovalorizzazione). Pertanto, in Italia servono ancora poche discariche di nuova concezione e sostenibili (per non compromettere il suolo, le acque di superficie e quelle sotterranee, l’ambiente circostante e la salute dei cittadini) con l’obiettivo di smaltire le frazioni di rifiuti non recuperabili e di far funzionare concretamente il modello di economia circolare ovvero di chiudere definitivamente il ciclo dei rifiuti.
A Roma? Il continuo scaricabarile tra il Comune e la Regione Lazio e la recente approvazione del Piano gestionale dei rifiuti da parte di quest’ultimo hanno prodotto l’effetto opposto, ossia quello di far prevedere diverse discariche residuali di servizio nel territorio romano, quando ne servirebbe solamente una. Ma non dimentichiamoci che nella Capitale d’Italia mancano anche gli impianti di riciclaggio di vari materiali, i termovalorizzatori e i biodigestori per il recupero energetico dei rifiuti organici. Tale deficit tecnologico impatta gravemente sui cittadini: costi economici elevati che si traducono in minori ricavi da valorizzazione dei rifiuti e in maggiori costi di trattamento e trasporto degli stessi, con la conseguente tassa sui rifiuti che è già tra le più d’Italia; alti costi ambientali causati dal stazionamento sistematico dei rifiuti negli impianti di trattamento meccanico biologico (in assenza di siti di stoccaggio), dal trasporto continuo dei rifiuti dai luoghi di produzione a quelli di trattamento in altre regioni e all’estero e dai roghi frequenti delle discariche abusive di rifiuti speciali pericolosi (e non) presenti in molte zone della città; scarso decoro urbano, reso evidente dalla pessima pulizia delle strade, dal frequente mancato svuotamento dei cassonetti (al punto da far avvicinare topi, gabbiani e cinghiali) e dalla scarsa igienizzazione dei siti dedicati alla raccolta, con evidenti rischi per la salute dei cittadini e di tutti coloro che transitano per la città.
Come mai avviene tutto questo? I limiti sociali e istituzionali allo “sviluppo” sono la causa principale del peggioramento di tutti gli indicatori ambientali e di salute. A Roma (come in altre zone del centro–sud) manca la capacità politica di costruire il consenso intorno alle decisioni. Inoltre, da decenni è presente un sistema di responsabilità amministrative intricate da consentire a chiunque di mettersi di traverso (la sindrome di Nimby e il no ideologico di comitati e associazioni ambientaliste catastrofiste vanno di moda) e a chiunque altro di temporeggiare, trovando mille pretesti per non decidere, permettendo di trasformare in continua emergenza una questione che, altrove, viene gestista senza eccessivi drammi.
Per le prossime elezioni amministrative del 2021, le forze politiche di opposto schieramento dovranno avere il coraggio di spiegare ai cittadini come stanno realmente le cose e di essere impopolari nella presentazione di programmi mirati all’attuazione di una vera economia circolare in materia di rifiuti, approfittando anche del Recovery Fund per i relativi investimenti nella realizzazione e ammodernamento di infrastrutture tecnologiche da parte della municipalizzata e di operatori economici privati. In particolare, le stesse forze non dovranno ripetere gli stessi errori commessi durante la precedente campagna elettorale grillina, con slogan inutili e controproducenti quali la raccolta differenziata spinta, i rifiuti zero e il no ideologico alle tecnologie innovative e sostenibili, quali ad esempio i termovalorizzatori.
Roma potrà raggiungere gli stessi obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e sociale delle altre capitali europee, se saprà coniugare la tutela ambientale con la crescita e l’innovazione e se riuscirà a passare realmente dall’economia lineare a quella circolare in cui i rifiuti sono una risorsa fondamentale da valorizzare e che gli stessi si gestiscono in osservanza di tutti i parametri previsti dalle normative di legge. Al contrario, la città continuerà a convivere con la sporcizia nelle strade, con l’inquinamento dell’aria e del suolo e con la malavita organizzata, a discapito dei cittadini e delle imprese.
di Donato Bonanni