venerdì 9 ottobre 2020
“Perché nessuno vuole mettere il naso e andare a vedere cosa c’è intorno (e soprattutto dietro) a questi assegni? – scrive Alessandro Maiorano in “L’usciere “maledetto” di Palazzo Vecchio” – eppure i politici ci hanno abituati che con le case non c’è da scherzare, li ricordiamo tutti d’altronde i casi di Gianfranco Fini (quello del cognato e la famosa “cugina”), Claudio Scajola (quello della casa con vista sul Colosseo “a sua insaputa”), o lo stesso Matteo Renzi con la casa affittata e pagata da Marco Carrai a via Alfani…”.
Alessandro Maiorano ha intuito che, sulla testa dei leader politici pende l’ipoteca di consorterie concentriche. Lo ha toccato con mano, comprendendo che, come in un gioco di scatole cinesi, i politici toscani sono frutto d’accordi tra logge massoniche bancarie (attive a Siena e Firenze) e referenti nazionali di fondi d’investimento esteri (la Fondazione Open di Marco Carrai è filiazione della Open Society Foundations di George Soros). Ma non solo in Toscana è così, la regola è ormai globale. A tal punto radicata da condizionare la nascita dei Governi, partendo dalle candidature per finire all’elezione di oltre l’ottanta per cento dei parlamenti mondiali.
È stato calcolato in più di duecento studi di settore che, a livello mondiale, solo uno scarso quindici per cento fra deputati e senatori eletti non farebbe capo ad interessi lobbistici: l’argomento è spiegato e documentato in “Rappresentanza degli interessi oggi. Il lobbyng nelle istituzioni politiche europee e italiane” di Maria Cristina Antonucci per Carocci editore, in “Democrazie sotto pressione. Parlamenti e lobbies nel diritto pubblico comparato” di Pier Luigi Petrillo per edizioni Giuffrè, come in “I gruppi di interesse” di Liborio Mattina per Il Mulino. L’elenco delle pubblicazioni è davvero lungo, e si potrebbe andare a ritroso nel tempo, scoperchiando i finanziamenti offerti a George Washington dalle compagnie commerciali, come gli aiuti che non pochi rappresentati inglesi ed olandesi ricevevano dalle società estrattive con interessi nelle colonie. Parafrasando William Makepeace Thackeray “solo a Barry Lyndon, per quanto abile, non venne fatta grazia d’ottenere un degno finanziatore”: Stanley Kubrick precisava che non fosse sufficiente essere un grande avventuriero, che necessitasse anche adeguato lignaggio, tradizione.
La lunga tradizione lobbistica degli Stati Uniti, abbinata alla consolidata democrazia liberale, ha permesso che l’uomo comune non venisse totalmente schiacciato dagli interessi dei gruppi di potere: anzi in non pochi casi, grazie alle “class action” (“azioni collettive”, che da noi stentano a decollare) i cittadini sono stati risarciti per milioni di dollari dalle multinazionali chimico-farmaceutiche, petrolifere, immobiliari e speculative in senso lato.
“Le cose più recenti come quelle legate alle Fondazioni, in ultimo le vicende legate alla ‘Open’ – sostiene Carlo Taormina (giurista e prefatore del libro “L’usciere ‘maledetto’ di Palazzo Vecchio”) – sarebbero e sono una miniera anche al fine di conoscere i misteriosi percorsi per cui un quarantenne, già altamente blasonato da almeno dieci anni, possa essere giunto ai vertici del potere e della politica. Sotto questo profilo – afferma Taormina – per vie diverse, Renzi è stato l’antesignano di Conte e di entrambi non si conosce quali siano i reali poteri da cui provengono e che li hanno sostenuti e sostengono”.
Chi scrive ha incontrato qualche giorno fa Taormina e Maiorano per presentarne il libro a Roma, l’iniziativa veniva organizzata da Riccardo Corsetto di “StopEuropa”. Nell’incontro mi è premuto sottolineare che, probabilmente, Marco Carrai (come evidenzia lo stesso Taormina) è certamente un referente di gruppi internazionali che ha condizionato l’operato di Renzi.
“Non si deve dimenticare – nota Taormina – l’operazione tentata da Renzi di infilare Carrai nel settore della cybersecurity, costituente ormai il presente e il futuro dello Stato, dell’Europa e soprattutto dell’economia”. Certamente, il raffinato intrigo economico tra gli adepti dei “cerchi armonici” senesi e quelli dei “gigli magici” fiorentini è di parecchio preesistente alla nascita del fenomeno renziano.
Va da sé che, Il Fatto Quotidiano e Giuseppe Pipitone (che devono giustamente scrivere da indignati in “Giustizia & Impunità”) sappiano che dietro il ricorso accolto dalla Cassazione in favore di Carrai ci sarà probabilmente stato un lavoro estenuante di avvocati e lobbisti, uniti nell’intento di dissequestrare documenti e pc della Fondazione Open perché la gente (il popolo credulone) non possa conoscere le “esoteriche” verità ed interconnessioni tra fondi, fondazioni ed interessi sovranazionali.
“Open, i finanziatori della fondazione che hanno beneficiato di scelte del governo Renzi: dal gruppo Gavio alla lobby del tabacco – scrive il Fatto Quotidiano del 5 settembre 2020 – nell’ordinanza di conferma del sequestro, inoltre, il Riesame aveva sottolineato il ruolo di Carrai quale socio di due società in Lussemburgo tra loro collegate”.
La domanda che in pochi si pongono è se sia stato Carrai a cercare Soros, o viceversa. Che George Soros finanzi tutti (ma proprio tutti) lo scoprirono lo scrivente e l’architetto Roberto Mezzaroma (all’epoca eurodeputato di Forza Italia): entrambi disertammo una cena offerta dal filantropo, poi sapemmo che vi si erano accomodati giornalisti e politici d’ogni parte politica (dall’ex An ai Verdi).
La Open Society Foundations di Soros, come s’evince dal suo prospetto informativo, è una delle più grandi fondazioni private al mondo: supporta gruppi per i diritti umani, con un budget annuale di oltre mille milioni di dollari, e poco meno del dieci per cento dei fondi di Open Society vengono investiti in Europa.
Soros dice che “la maggior parte di questi finanziamenti si concentra sul sostegno alle istituzioni democratiche… e sulla lotta alle discriminazioni nei confronti di gruppi minoritari, compresa la popolazione rom”.
Nel 2008 la Open Society Foundations di Soros ha iniziato ufficialmente a lavorare in Italia: supportava economicamente le battaglie legali contro la concentrazione della proprietà dei media da parte dell’amministrazione Berlusconi. I fondi stanziati annualmente dalla Open Society Foundations in Italia ammontano a circa il 2,5 per cento dei finanziamenti assegnati dalla fondazione all’area europea (stima aggiornata fino al 2017). Ma a parte le collaborazioni con le fondazioni filantropiche italiane (come la Fondazione Nando Peretti, la Fondazione Italiana Charlemagne e la Fondazione con il Sud e la Compagnia di San Paolo) la Open Society ha soprattutto finanziato la battaglia legale contro le televisioni di Berlusconi. E su quest’ultimo punto si spalanca il grande mistero delle connessioni (e collaborazioni) con la Open di Marco Carrai. Soprattutto il dubbio che un eventuale patto del Nazareno sia anche servito per siglare una pace tra le lobby internazionali.
Infatti il gradimento internazionale per Marco Carrai al vertice della cybersecurity europea (e forse globale) era giunto anche da parte dei grandi fondi d’investimento, dalle fondazioni, dagli investitori istituzionali.
di Ruggiero Capone