Di Maio e Crimi, “ma fateci il piacere”, ma quali leader

mercoledì 1 luglio 2020


Ma mi faccia il piacere”! Era l’esilarante frase rivolta allo sventurato passeggero del vagone letto, onorevole Trombetta, da Totò che, nella sua produzione cinematografica, della politica ne ha fatto un cavallo di battaglia. La stessa esclamazione viene spontanea prenderla in prestito e gridarla oggigiorno a quella politica, divenuta di seconde file, che sembra sempre più prendere le sembianze di un cavallo azzoppato e che si vuol far passare, invece, come cavallo di razza come nel caso di Luigi Di Maio o Vito Crimi, incoronandoli leader di un qualcosa. Ma vi ricordate cosa erano i leader? Sembra che più si va avanti e più ci si infogna in questa assurda stagione, sfortunatamente troppo lunga, di bassa politica, dove per giunta si tenta in modo ostinato e maldestro di attribuire, a dei politici, un elemento di autorevolezza e abilità che non hanno. Se facciamo un salto nel passato, nella politica di un tempo, confrontando quei leader con quelli che impropriamente chiamiamo oggi con tale appellativo, non si può prescindere dal fatto che la comparazione non regge nemmeno lontanamente, quelli sì che lo erano per davvero.

Quei leader, di qualsiasi schieramento si voglia prendere in considerazione, riuscivano con abilità a tenere insieme persone che ragionavano in modo diverso, come in una sorta di team dove ciascuno era chiamato a dare sempre il massimo delle proprie capacità. Pur nelle diversità di vedute, ad un certo punto, quelle differenti opinioni divenivano un terreno fertile dal quale nascevano delle idee che poi venivano poste in campo nell’azione politica concreta. Vi era una logica diversa, quella di produrre risultati reali e in molti casi vincenti, erano motivati, proprio quella stessa motivazione li portava, anche a duro muso, a credere in ciò che stavano facendo con l’elemento imprescindibile della passione. Oggi tutto questo manca, per lo meno non giunge ai cittadini che, giorno dopo giorno, assistono disgustati al teatrino del tutti contro tutti oppure alle incomprensibili messe in scene dei cosiddetti leader politici che, per parlare con i loro alleati di governo, scrivono lettere sui giornali, invece di usare il telefono o fissare un banale incontro in una stanza intorno ad un tavolo riunioni. Si rimane sempre più increduli nell’assistere a questi episodi che viene da chiedersi, ma questi ci sono o ci fanno? È vero che il voto altro non è che una delega in bianco che si dà a qualcuno per rappresentarci, ma di certo i cittadini non sono quel ciarpame che, molte volte, viene rappresentato in politica e che a loro non appartiene, ma neanche lontanamente.

Quando si parla di Luigi Di Maio o Vito Crimi, come di leader, si compie un errore di fondo, si confonde l’essere a capo (o essere stato messo a capo) con l’essere davvero un leader che, sapete, non è proprio la medesima cosa. Nel sistema stellare dei Cinque Stelle si dovrebbe conoscere che un capo si limita a dirigere, mentre un leader, vero, è capace di indicare una via, ha carisma, sa motivare, crea entusiasmo favorendo le condizioni per far emergere quella spinta propulsiva che permette poi ai propri parlamentari, amministratori locali e militanti di tirar fuori il loro entusiasmo e le loro capacità. Praticamente il contrario di ciò che è accaduto sotto i nostri, anzi i loro occhi, infondendo un clima di tensione, sospetti e terrore quando qualcuno non era allineato o in regola con la ridicola questione dei versamenti di denaro. E così facendo sono emerse, man mano, quelle incongruenze per cui erano nati, quello che doveva essere “noi” è divenuto “io”, la sindrome del “qui comando io” ha preso sempre più il sopravvento facendo sentire molti pentastellati non più parte del progetto. La verità, forse, è che chi aveva creduto nel M5s si è sentito usato dal proprio “capo”, invece di essere posto nelle condizioni, come avrebbe fatto un leader, di crescere.

Un vero leader, caro Beppe Grillo, sviluppa le persone, non le nomina o ancor peggio le caccia! Dapprima si è assistiti all’investitura come leader di Luigi Di Maio, le cui gaffe ci hanno fatto capire, fin da subito, la portata e il calibro da novanta che stava guidando, con grande conoscenza, il popolo pentastellato. Per citarne qualcuna, a chi non sovviene alla mente quando il succitato capo politico criticò l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, accusandolo di aver occupato con arroganza la cosa pubblica come ai tempi di Pinochet in Venezuela, dimenticando un piccolo dettaglio geografico, Pinochet era in Cile, o ancora, quando definì la Russia un Paese del Mediterraneo? Certo, adesso, le cose volgono al meglio con una figura in grado di sopperire, al momento, a un leader, ahimè nominato per non discostarsi troppo dai costumi, alla Vito Crimi, anche detto “lo smentito” per le innumerevoli smentite, fatte a suo discapito sia da Grillo che dai colleghi parlamentari e militanti pentastellati, a sue dichiarazioni che lo hanno consegnato alla storia e creato più di un imbarazzo nel Movimento. Il M5s ha una nuova figura carismatica che ha le idee ben chiare in mente su cosa rappresenta lo stesso Movimento e le sue stelle, infatti per averne la riprova, basta fare un salto indietro nel tempo e ricordare, l’indimenticabile, saccente spiegazione in cui si lanciò nel descrivere il significato delle Cinque Stelle presenti nel simbolo, non rammentandone una. Dinnanzi ad uno scenario del genere viene naturale, a chiunque sano di mente, esclamare la fatidica frase di Totò: “Ma mi faccia il piacere!”.


di Alessandro Cicero