venerdì 19 giugno 2020
Durante la recente cerimonia commemorativa di eroici ed indimenticati magistrati quali Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato, Gaetano Costa e Rosario Livatino, che ha avuto luogo il 18 giugno al Palazzo del Quirinale, in un momento particolarmente critico per l’Ordine giudiziario, sconvolto da scandali per lottizzazioni, carrierismo, sovraesposizioni mediatiche, politicizzazione ed altre patologie che hanno finito col minarne profondamente l’autorevolezza, il presidente Sergio Mattarella ha voluto ricordare esemplarmente la statura morale e civile di quei giudici che “erano consapevoli dei rischi cui erano esposti e li hanno coraggiosamente affrontati per rispetto della dignità propria e di quella del loro compito di magistrati. Hanno svolto la loro attività, con coraggiosa coerenza e autentico rigore, senza rincorrere consenso ma applicando la legge. Fedeli soltanto alla Costituzione”. “Quella – ha evidenziato con un significante richiamo – era l’unica fedeltà richiesta ai servitori dello Stato a tutela della democrazia su cui si fonda[va] la nostra Repubblica.” Ha tenuto pertanto a sottolineare ai giovani magistrati, che si tratta dell’unica fedeltà cui bisogna attenersi ed alla quale sentirsi vincolati.
Innanzi alle polemiche che hanno motivatamente colpito il Csm, Organo di autogoverno della magistratura, Mattarella ha colto l’occasione commemorativa per una riflessione sui percorsi formativi che la magistratura deve necessariamente assicurare, affinché i fondamentali valori dell’autonomia e dell’indipendenza trovino “oggi, come nel passato, piena attuazione”. La Scuola superiore, particolarmente in questo momento critico, assume un ruolo decisivo per la formazione etica e professionale dei magistrati, per cui sembra necessario che dedichi sessioni di studio apposite ai doveri di correttezza e trasparenza nell’esercizio delle funzioni giudiziarie; onde vengano tradotti nei comportamenti a cui è tenuto ciascun magistrato, non soltanto nello svolgimento dell’attività giudiziaria, ma anche nel servizio reso all’interno del Consiglio Superiore della magistratura. Nel prosieguo di un discorso “agrodolce”, pieno di esortazioni rivolte al futuro, che sono al contempo altrettante censure per le trascorse degenerazioni, il presidente ha espresso apprezzamento per l’attività che la Scuola compie “anche per diffondere e promuovere il dibattito sull’evoluzione giurisprudenziale, che – ha sottolineato – riveste valore imprescindibile per l’ordinamento, purché essa sia il frutto di un percorso di meditata serietà nell’approfondimento e di ponderazione nelle scelte. Ad esso sono estranee estemporaneità e avventatezza”.
Innanzi all’ulteriore patologia emersa da sentenze stravaganti e minanti la certezza del diritto, il capo dello Stato senza giri di parole ha colpito con inusuale – e perciò più incisiva – durezza, il deprecato fenomeno, affermando:” In un momento complesso come quello che la nostra società sta vivendo, avverto il dovere di sottolineare che la coerenza giurisprudenziale nell’interpretazione delle norme rafforza la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario, giacché dà attuazione al principio di uguaglianza consacrato nell’articolo 3 della nostra Costituzione, assicurando la parità di trattamento tra casi simili. Occorre, infatti, aver ben chiaro il confine che separa l’interpretazione della legge dall’arbitrio e dalla ricerca della pura originalità nella creazione della regola, che determinano spesso un disorientamento pericoloso dovuto all’imprevedibilità della risposta giudiziaria. I nostri cittadini hanno diritto a poter contare sulla certezza del diritto e sulla prevedibilità della sua applicazione rispetto ai loro comportamenti. Questo vale – a partire, naturalmente, anzitutto dalle scelte del Legislatore e fino all’attività di interpretazione – per la giustizia civile come per quella penale, per quella amministrativa come per quella contabile: non possono essere costruite ex post fattispecie e regole di comportamento. Va precisato, a questo riguardo, che la puntualità e la chiarezza delle fattispecie e della loro interpretazione, lungi dal ridurre, accrescono il rigore e l’efficacia della giustizia”.
L’alto livello di preparazione professionale rappresentava l’elemento portante su cui si regge l’indipendenza dell’Ordine giudiziario, consolidando la legittimazione della magistratura e dell’attività da essa posta in essere, in un doveroso impegno per “recuperare la credibilità e la fiducia dei cittadini, così gravemente messe in dubbio da recenti fatti di cronaca, in amaro contrasto – disse – con l’alto livello morale delle figure che oggi ricordiamo”. Senza giri di parole, il presidente ha proseguito in uno dei discorsi più fermi e determinati del suo mandato: “La documentazione raccolta dalla Procura della Repubblica di Perugia – ha affermato – sembra presentare l’immagine di una magistratura china su se stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi”. A margine di tutto ciò, ha tenuto ad operare un netto “distinguo”, nella certezza che le criticità rimarcate non appartengono alla magistratura nel suo insieme, che rappresenta “un Ordine impegnato nella quotidiana elaborazione della risposta di giustizia rispetto a una domanda che diventa[va] sempre più pressante e complessa”. È stata la magistratura medesima – ha avvertito – a portare allo scoperto le vicende che hanno provocato un così grave sconcerto nella pubblica opinione, svolgendo la propria funzione senza esitazioni o remore di alcun tipo. La stragrande maggioranza dei magistrati è estranea alla deprecata “modestia etica” oggetto di dibattiti di stampa e della pubblica opinione, per cui non si può ignorare il rischio che alcuni attacchi alla magistratura nella sua interezza, siano in realtà strumentalmente svolti a porne in discussione l’irrinunciabile indipendenza, che egli stesso come presidente della Repubblica ha, per il dovere costituzionale affidatogli, “il compito di tutelare con determinazione”.
Per converso non può essere sottovalutato che le vicende evidenziate hanno gravemente minato il prestigio e l’autorevolezza dell’intero Ordine giudiziario, la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia – lo ha ribadito – sono “indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica”. La limpidezza del modo di agire anche nella vita associativa, e la credibilità in tutte le decisioni che riguardano il Consiglio superiore – dalle nomine agli avanzamenti, ai provvedimenti disciplinari e, prima ancora, alle candidature al Consiglio – costituiscono per i cittadini un metro di valutazione della trasparenza e della credibilità anche delle decisioni assunte dalla magistratura nel rendere giustizia. Bisogna superare con determinazione le logiche correntizie per perseguire autenticamente l’interesse generale ad avere una giustizia efficiente e credibile, per cui l’oratore ha sottolineato la necessità di un “rinnovamento culturale per rigenerare valori”.
Il compito primario assegnato dalla Costituzione al Csm, impone in modo categorico che si prescinda dai legami personali, politici o delle rispettive aggregazioni, in vista del dovere di governare l’organizzazione della magistratura nell’interesse generale, lungo il tracciato delineato della Costituzione. Indipendenza ed autonomia dell’Ordine giudiziario sono principi fondamentali, irrinunciabili per la Repubblica, di cui occorre tenere assolutamente conto. È necessario che il percorso della riforma sia volto “a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare ruoli di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacità individuali”.
di Tito Lucrezio Rizzo