martedì 16 giugno 2020
La Costituzione, si sa, è la Carta fondamentale della Repubblica; tutti i cittadini, dovrebbero amarla e rispettarla, ed ai ragazzi si dovrebbe insegnarla, sia pure sotto forma di educazione civica, affinché sin dalla prima età scolare abbiano familiarità e dimestichezza con il testo costituzionale, ne assimilino e metabolizzino i valori, lo sentano come appartenente al patrimonio della comunità in cui vivono. L’articolo della Carta fondamentale dedicato al complesso delle strutture burocratiche dello Stato, l’articolo 97 della Costituzione sancisce i principi informatori dell’organizzazione e dell’attività amministrativa, con la previsione di una riserva relativa di legge, in modo da assicurare il “buon andamento e l’imparzialità” (comma primo); indi lo stesso articolo stabilisce la modalità di certo preferenziale seppur non esclusiva (cfr. recentissima sentenza della Consulta, con dispositivo reiettivo trapelato dal comunicato stampa dell’11 giugno scorso, con revirement del precedente arresto n. 37/15 in analoga materia di conferimento incarichi apicali, senza concorso e tramite contratto, all’interno dell’Agenzia delle Entrate) di accesso agli uffici pubblici, individuandola nel concorso meritocratico, per titoli e esami.
Il concorso pubblico si sostanza in una prova selettiva, aperta a tutti i candidati in possesso dei richiesti requisiti, atta a salvaguardare proprio il buon andamento –efficienza ed imparzialità dell’agire amministrativo, e quindi si pone in rapporto di congruo mezzo rispetto al fine perseguito in termini di preminente interesse pubblico; che agli uffici pubblici siano chiamati i migliori, i più capaci ed idonei tra tutti i candidati. Tra gli uffici pubblici cui accedere solo per concorso meritocratico spiccano quelli rivestiti dai magistrati, che esercitano la funzione giurisdizionale in materia ordinaria ed amministrativa, ex articoli 102 e 103 della Costituzione. Tali giudici sono i soggetti deputati ad amministrare la giustizia “in nome del popolo” e pertanto risultano “soggetti solo alla legge”, ex articolo 101 della Costituzione affinché con la garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza da ogni altro potere, siano assicurate non solo l’assoluta loro imparzialità, bensì anche la retta equanimità nell’esercizio delicato d’essenziale funzione, a tutela dei diritti della cittadinanza e della credibilità–prestigio dell’intero ordine giudiziario. L’imparzialità della giurisdizione e la professionalità dei giudici, con il primato della legge (rule of law), costituiscono connotati essenziali dello Stato di diritto contemporaneo, come evolutosi delle democrazie occidentali.
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Ora, dopodiché da decenni la magistratura, specie quella inquirente, si è arrogata un ruolo di supplenza rispetto alla poca incisività delle scelte di altri poteri dello Stato e alla carenza, vera e propria latitanza in certi periodi e determinati settori, dei medesimi nello scenario pubblico – complice il circo mediatico-giudiziario mai a sufficienza valutato in sua portata dirompente ed insanamente condizionante del flusso della rappresentanza politica dagli elettori agli eletti, dai cittadini votanti ai loro rappresentanti – lo scandalo connesso disvelato dal cosiddetto affaire Palamara & Co, che ha coinvolto direttamente i membri togati del Csm, e pure l’ex vicepresidente avvocato Giovanni Legnini, ha fatto tornare di attualità il tema non più rinviabile della riforma della giustizia, riforma che investa espressamente l’aspetto ordinamentale, la separazione delle carriere e l’intero sistema di funzionamento del Csm, nelle sue varie articolazioni, non ultima la sezione disciplinare.
In verità, il fenomeno della degenerazione correntizia del Csm, venutosi vieppiù configurando da “Parlamentino dei giudici” ad “Assemblea di gruppi” della magistratura associata – quasi proiezione rappresentativa dei rapporti di consistenza e forza tra le varie correnti presenti all’interno dell’Anm e “organo di teatro” deputato alla mera ratifica di scelte assunte altrove – dequotazione attestata ora inesorabilmente dalla lettura dei verbali di intercettazioni disposte nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Perugia, per l’ipotesi iniziale di corruzione a carico del dottor Luca Palamara ed altri, è tutt’altro che nuovo. Tale fenomeno è stato stigmatizzato da tempo da vari di studiosi (Di Federico e Guarnieri), politici (dichiarazione 2008 del senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri) e persino dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In particolare, il predecessore del presidente Sergio Mattarella, aveva reiteratamente nel corso del suo doppio mandato, condannato pubblicamente e con accenti veementi quel fenomeno, pure nei suoi collegamenti con la politica, definendo le modalità decisorie del Csm “malsani bilanciamenti tra le correnti frutto di pratiche spartitorie rispondenti a interessi lobbistici, logiche trasversali, rapporti amicali, sino a simpatie o collegamenti politici”. Nonostante la condanna unanime, senza mezzi termini, financo dalle stesse correnti della magistratura che percepivano lo smarrimento ormai di qualsiasi orizzonte culturale di confronto e differenziazione, l’invito a porvi rimedio è caduto nel vuoto per decenni.
Il disegno di legge delega che il Guardasigilli Alfonso Bonafede si appresta nell’immediato prosieguo a far approvare in Consiglio dei ministri, dovrebbe incentrarsi, stando a indiscrezioni e notizie trapelate, su 3 profili tra loro complementari:
a) il nuovo sistema elettorale per la maggioritaria (16 su 24) componente togata del Csm;
b) la disciplina del rapporto tra magistratura e politica, sotto l’aspetto delle condizioni più rigorose di partecipazione dei magistrati alla competizione elettorale (con l’auspicio che non si ripetano incresciose situazioni, come per il senatore Pietro Grasso, candidatosi all’inizio scorsa legislatura, dopo aver smesso nemmeno da 30 giorni i panni del Procuratore nazionale antimafia, poi eletto presidente del Senato) ed al rientro nei ruoli dopo la fine della parentesi politica (inibizione delle cosiddette porte girevoli);
c) le condizioni per la nomina a membro laico del Csm, con esclusione di coloro che abbiano rivestito significative cariche politiche (in primis parlamentari) nel lustro antecedente all’elezione da parte delle Camere riunite (ricordando che gli ultimi vicepresidenti del Csm Virginio Rognoni, Michele Vietti, Nicola Mancino, Giovanni Legnini e David Ermini, sono stati tutti deputati o senatori).
Questa riforma del Csm definita dei “soliti buoni propositi” o “dei pannicelli caldi”, ovvero dai più Csm forma, manovra atta a distogliere l’attenzione da una non più possibile autoriforma (mantra che pure si è a gran voce caldeggiato, sino all’anno scorso, a debutto inoltrato dell’affaire Palamara & Co, forti della pretesa di “poche mele marce” in un “corpo sostanzialmente sano”, perdipiù concentrate nell’unica corrente di Unicost, capitanata dall’ex presidente Anm indagato), nulla dice su altre evidenti criticità di primario rilievo. Tali criticità, che assumono a snodi ineludibili, di ogni riforma degna del suo nome sono costituiti – tra gli altri – dal mantenimento all’interno del Csm della sezione disciplinare (nell’attuale composizione sbilanciata di 6 membri togati e 2 laici, col quorum richiesto di almeno 4 voti per un giudizio di responsabilità disciplinare dell’incolpato magistrato), dal funzionamento della Prima commissione in tema di trasferimento per incompatibilità ambientale o funzionale ad altra sede, in applicazione latamente discrezionale della legge delle guarentigie, ovvero dall’ambito distacco fuori ruolo dei giudici ordinari, presso il ministero della Giustizia, altri organi costituzionali, Csm, per la cui assegnazione le intercettazioni hanno disvelato l’influenza determinante del correntismo, al pari che per la nomina ai posti direttivi, dei vari uffici giudiziari requirenti (le Procure) e giudicanti.
Si obietterà che il meglio è nemico del bene, e che approntando una vasta riforma organica – comportante in alcuni snodi pure il procedimento di revisione costituzionale ex articolo 138 della Costituzione, bisognevole di periodi lunghi ed ampie convergenze all’interno della maggioranza e pure con l’opposizione – i tempi son destinati ad allungarsi, mentre la diffusiva virulenza della “infezione istituzionale” della magistratura associata e del Csm esige un intervento rapido ed efficace; pertanto, i sostenitori della proposta di riforma puntuale propugnata dal ministro Bonafede – proposta che, invece, per i detrattori si risolve in “riformetta” troppo circoscritta e dall’ispirazione sfumata, lungi dal poter conseguire l’effetto palingenetico additato da roboanti parole di presentazione – sono convinti che egli abbia ben fatto a riesumare in fretta e furia, qualche appunto preso e lasciato nel cassetto dal predecessore Andrea Orlando, consci come la stessa coalizione giallorossa che sostiene l’esecutivo Conte bis abbia accusato proprio di recente delle insidiose fibrillazioni sui problemi della giustizia, sia per divergenze su singoli temi (ad esempio soppressione prescrizione) che per differenti sensibilità di fondo tra le varie formazioni (essenzialmente tra quella più garantista di Italia viva di Matteo Renzi e l’ala più giustizialista della stragrande parte del M5s).
Inoltre l’attuale ministro, indubbiamente è stato spinto a tanto, dalla non ancora conclusasi stagione di vivaci polemiche divampate sul suo operato (cosiddetta circolare antiCovid del dottor Francesco Basentini capo del Dap, dimessosi al pari della pressoché totalità dei magistrati distaccati presso il ministero; il decreto legge per le “ricarcerazioni”, già sospettato di non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale e reiteratamente rinviato (tre volte in meno di un mese) alla Corte costituzionale, di cui l’ultimo ordinanza da parte di quel Tribunale di sorveglianza di Sassari, disponente la messa in detenzione domiciliare per gravi motivi di salute di detenuto in regime di isolamento ex articolo 41bis Michele Zagaria), e soprattutto, dal lato eminentemente politico, dal fatto di esser scampato per il rotto della cuffia alla mozione di sfiducia individuale calendarizzata al Senato (grazie a disinvolto quanto inopinato cambio di rotta del senatore Renzi, che aveva tuonato in più occasioni contro l’operato del Guardasigilli, nonché aveva fatto riecheggiare parole di sdegno in aula Palazzo Madama su straripamento di magistratura inquirente, nell’equiparare la fondazione Open a “articolazione di partito politico”), in riferimento all’intera gestione carceraria degli ultimi mesi, dalle rivolte con morti e feriti, gravi danneggiamenti, contagi di agenti penitenziari, per ultimo ma non da ultimo, pure richiami e richieste informazioni dalla Cedu.
(*) Fine prima parte
di Jacopo Severo Bartolomei