venerdì 12 giugno 2020
Alla fine il centrodestra, che i giallorossi vorrebbero diviso costantemente fra i moderati di Forza Italia e i sovranisti di Lega e Fratelli d’Italia, ha individuato una linea comune da tenere dinanzi ai così denominati Stati generali organizzati dal governo Conte. L’opposizione non varcherà la porta d’ingresso di Villa Pamphili, luogo scelto per la kermesse governativa, e il “no grazie” di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani, pare essere una scelta condivisibile e di buonsenso. In primo luogo l’accusa di irresponsabilità, in un momento in cui il Paese dovrebbe unirsi, che sicuramente pioverà dalla maggioranza, sarà poco credibile agli occhi degli italiani. In questi difficili mesi si è potuto vedere come il premier Giuseppe Conte e i partiti di governo siano stati i primi ad ostacolare quella concordia nazionale che sarebbe servita a gestire meglio l’emergenza sanitaria e poi a delineare la ripartenza economica. I governatori di Lombardia e Veneto, quando chiedevano un rigore immediato per il contenimento del virus, venivano derisi o peggio, apostrofati come razzisti e fascio–leghisti dal loro omologo toscano Enrico Rossi.
Non parliamo poi della campagna politica e giornalistica mirata a gettare fango sul governo regionale lombardo, nella quale non può non esserci qualche responsabilità di Giuseppe Conte e dei vertici di Pd e M5s. Non dimentichiamo altresì l’attacco sguaiato, e scorretto a livello istituzionale, del Presidente del Consiglio, tramite una diretta Facebook, verso Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Un comportamento che è stato stigmatizzato anche da personaggi non certo vicini alla Lega o a FdI come Enrico Mentana. I leader del centrodestra hanno già avuto modo qualche tempo fa di incontrare il premier e i ministri, e di presentare le loro proposte per il superamento della crisi, ma nemmeno una delle istanze dell’opposizione è stata presa in considerazione. La disponibilità di Conte a ragionare con tutto il Paese e non solo con la sua maggioranza, sbandierata in quegli incontri, era soltanto uno specchietto per le allodole, utile a far sembrare lui e i suoi accoliti la parte dialogante e responsabile della nazione, e magari a dipingere Salvini e Meloni come degli eterni incontentabili, che in un momento come questo continuano ad anteporre l’interesse di fazione a quello generale dell’Italia.
Insomma, una presa in giro e gli Stati generali hanno tutte le caratteristiche per essere la riedizione di un imbroglio o meglio, la ricerca da parte di Conte di una rinnovata legittimazione da spendere anche in sede europea, visto che vi sarà anche il collegamento in videoconferenza con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. È saggio evitare di diventare complici di questa passerella propagandistica perché altro non è visto e considerato che, a parte ancora la natura inusuale dello strumento e della sede scelta, il governo convoca una sorta di summit sull’economia senza avere uno straccio di piano, una benché minima idea per il rilancio di un sistema travolto dalla pandemia e dal lockdown.
Oltre alla prevedibile retorica, ai discorsi accademici e puramente teorici, alla “reclame” su quanto sono stati bravi finora i governanti giallorossi, di cosa si potrà mai discutere a Villa Pamphili, intendendo aspetti concreti per famiglie ed imprese italiane bisognose di una risposta immediata? Nonostante l’autocompiacimento di Domenico Arcuri, l’Italia non è stata un modello per quanto riguarda il contenimento del virus, e dopo, come appuriamo tristemente ogni giorno, la reazione economica e sociale del governo si è rivelata più che deficitaria. Quindi, se l’esecutivo Pd-M5s-Iv-Leu non è stato capace sinora di prendere il toro per le corna sul fronte economico, è davvero difficile che sia stato in grado in queste ore di stilare una tabella di marcia così impressionante da lasciare senza fiato tutti gli ospiti di Villa Pamphili. Fanno bene infine Salvini e Meloni a ricordare al premier e alla sua maggioranza l’uso del Parlamento, come sede principale di confronto fra governo ed opposizione.
Proprio il Pd, ma anche gli altri compagni di coalizione non sono da meno, ci ha sempre ammorbato il cervello, per non dire altro, sulla “Costituzione più bella del mondo” e sulla bellezza della democrazia parlamentare all’italiana. L’anno scorso quando qualcuno si permetteva di obiettare che probabilmente il Conte bis fosse soltanto una mera operazione di palazzo, un affare per mantenere la poltrona contro il volere degli italiani, i nostri parlamentaristi ad oltranza rispondevano più o meno così: “È tutto in regola con la Costituzione, il Parlamento è sovrano e per fortuna non siamo una Repubblica presidenziale, che magari trasformerebbe Salvini in un dittatore sudamericano”. La Repubblica parlamentare, comunque non amata da chi scrive, così come la critica al ricorso eccessivo da parte dei governi dello strumento della fiducia, esiste per lor signori solo a giorni alterni.
di Roberto Penna