Contributo psicologico al superamento della crisi italiana

venerdì 15 maggio 2020


È stato recentemente pubblicato il quaderno del Cnel “Il mondo che verrà”, forse il massimo che oggi l’Italia sappia tentare per superare la terribile crisi che incombe su economia e società, a parte che mancano altre professioni rilevanti, fra cui quella degli psicologi. Aprendo gli interventi, il presidente Tiziano Treu ha denunziato: “L’Italia è stata travolta da questa pandemia in una fase di forte fragilità della propria economia. Già prima della crisi, la crescita stagnante, l’alto debito pubblico connesso con la scarsa competitività del sistema economico e la debolezza del mercato del lavoro”. Riconoscere la crisi che incombe come peculiarmente nostra, italiana, è la prima delle strategie proposte come efficaci da Jared Diamond in un suo trattato (molto apprezzato anche dall’Economist). Del resto è proprio questo che infliggono tipicamente gli psicologi ai propri pazienti, arrivati incolpando altri contesti ed altri soggetti del disagio che invece è loro proprio e da essi stessi generato. Così, per capire questo nostro disastro, secondo Diamond non basta “to blame others”, dar la colpa agli altri, ed invece dobbiamo responsabilizzarci, noi italiani.

Partendo di qui il presidente Tiziano Treu può giustamente chiederci di “riflettere profondamente sull’urgenza di alcune riforme del nostro modello produttivo. All’indomani di una crisi che trascinerà un ulteriore appesantimento del debito pubblico e di indebolimento dell’economia reale, nello scenario globale, su quali assi il nostro Paese dovrà concentrare i propri sforzi e i propri investimenti?”. Nell’esaminare cosa rispondono a Treu gli interventi, partiamo dal primo, di Emma Bonino, fondatrice e leader di “Più Europa”. Dall’analisi psicologica emerge che dall’inizio alla fine lei accusa quelli che, invece, di Europa e delle altre interazioni sovranazionali ne vorrebbero meno. Essendo stata lei la principale demolitrice dello scopo dell’Euratom col Referendum del 1987, ed avendoci così esposti inermi alla super-concorrenza degli altri Paesi che del nucleare godono proficuamente, è lei che ci ha resi timorosi, prima del Mercato comune europeo, poi del Wto. È stata Emma Bonino la principale sorgente di quel sentimento che nell’intervento lei denunzia come sovranismo, claustrofilia e similari. Ebbene, questo meccanismo di difesa contro la percezione della propria colpa attribuendola ad altri, di tale stessa colpa accusati, in psicologia si chiama proiezione. Nella forma più patologica diventa paranoia, ma è frequentissima fra persone considerate normali.

È facile da diffondere ad altri, a loro volta capaci di contagiarne altri ancora, sino a grandi masse. Comunque in Italia gode di molto rispetto, ed infatti la Bonino conquista qui il primo posto, quasi da Lectio Magistralis. Questo però è l’esatto opposto della auto-responsabilizzazione proposta da Jared Diamond: non è certo così che i Paesi riescono a superare le loro crisi. E il nostro declino italiano, che nei rating e nelle statistiche cronologiche risulta partire da quel referendum del 1987, ormai sta rischiando di far crollare l’intera costruzione europea: questo con un meccanismo più ampio, ma perfettamente analogo, a quello innescato dalla stessa Bonino verso noi professionisti, prima italiani ma potenzialmente europei.

Come ministro italiano degli Affari europei, fu infatti la prima proponente del Decreto 9.11.2007, di recepimento della direttiva europea 36/2005 di riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali. In quel decreto, ed ancor peggio nella circolare interpretativa, si pretendeva di improvvisare in Italia, accanto al sistema pubblico, autorizzatorio delle attività professionali in seguito all’esame di Stato che riconosce l’adeguatezza della formazione conseguita, anche l’aggiunta di un sistema privatistico-riconosciuto accreditatorio di libere competenze sedicenti professionali ma sedicenti diverse dalle prime, sebbene rispondenti spesso alle utenze delle professioni ordinate, senza però accettare di doversi iscrivere ai rispettivi Ordini.

Questo secondo sistema pretendeva di scimmiottare quello che nei secoli gli inglesi avevano affinato nel Commonwealth, per valorizzare l’acquisizione di competenze o superiori o più specifiche di quelle ordinate, non esulanti dal campo di queste, e niente affatto esenti dall’iscrizione agli organismi regolatori Pubblici: differenze descritte nella nostra relazione in Parlamento. Qui in Italia, al contrario che nel Regno Unito, si cercò subito di scatenare ogni genere di abusivi, senza neppure pretendere che avessero la scuola dell’obbligo.

Purtroppo tutto il Cnel, contro la minoritaria resistenza dei rappresentanti delle professioni ordinate, si prestò ad applicare quel riconoscimento a chiunque ne facesse richiesta, senza esclusioni. Il problema era che, proprio come già con l’Euratom, i trattati europei che garantivano la libera circolazione rischiavano di rovinare non solo la nostra utenza professionale italiana, ma anche tutta l’altra europea.

Per fortuna, la dirigente dell’Unità Professioni Regolamentate, Pamela Brumter-Coret, capì immediatamente il rischio (le avevamo presentato quel 9/11 con la lettura all’americana, come nine-eleven, undici settembre!), e sbarrò il passo a questi abusivi in Europa: non li ritroviamo infatti né nel prestigiosissimo allegato I alla Direttiva 36/2005, né negli altri allegati riservati alle vere professioni tecniche. Ma da noi la presidente del Colap, l’organizzazione collettiva di quei promotori, continua a rappresentare le professioni tutte sui nostri media. Anche in questo caso quindi la Bonino ha cercato di rovinare il rapporto Italia-Europa, danneggiando primieramente l’Italia. Si chiama Coazione a ripetere, incomprimibile.

Resta incomprimibile in questa serie di interventi al Cnel anche Romano Prodi, che avevamo già visto subire il meccanismo di difesa della rimozione sul Trattato Euratom, in un precedente articolo.  Sigmund Freud ha dimostrato che il Rimosso non finisce affatto nel nulla, ma ritorna sistematicamente, per essere nuovamente Rimosso e così via, sino a quando il paziente non guarisce prendendone semplicemente coscienza. Così sinora Prodi, nella parte conclusiva del suo intervento, non può evitare di essere assillato dal problema della recentissima localizzazione di due fabbriche di auto elettriche, la giapponese Toyota e l’americana Tesla, in Francia e Germania, sebbene l’Italia abbia ormai stipendi molto più bassi, che dovrebbero essere più attrattivi.

Prodi non ricorda, cioè ha pure rimosso, che non solo quelle due fabbriche estere, ma anche una grande quantità di imprese italiane avevano già dovuto fare quelle analoghe scelte negli ultimi decenni, prima che restassero qui soltanto le meno energivore (moda, turismo, agroalimentare, quelle ora più minacciate dalla pandemia!); vediamo qui una tabella (registrata attorno al 2010) che compone le nostre delocalizzazioni del primo decennio del duemila (raccolte da Cgia) con il costo del chilowattora (raccolto da Eia) nei rispettivi Paesi di destinazione:

Come si vede, la correlazione era strettissima, sino al mezzo centesimo di dollaro: 1 cent di differenza fra Francia ed Usa, e differenza di 154 imprese rispettivamente delocalizzate; 1 e mezzo fra Germania e Spagna, e la differenza delle imprese saliva a 174; 4 cent fra Usa e Germania, e vediamo che in quel più ampio divario ci siamo perdute ben 309 imprese in più. Ma Prodi questa causa cruciale la Rimuove, sostituendola con le altre solitamente denunziate, cioè quelle già studiate ampiamente dalla World Bank nella sua valutazione della facilità di fare impresa nei vari Paesi; Prodi però misconosce che la Francia non è al primo posto nella classifica operata dalla Banca mondiale nel “ease of doing business ranking”, bensì al 32°, e la Germania non è al terzo bensì al ventottesimo.

È vero che l’Italia sta ancora peggio di loro in quella classifica, ma ci stava già nei decenni in cui crescevamo più che la media europea, come abbiamo visto nell’articolo. Le nostre imprese sono state poi costrette a delocalizzare proprio per questa Rimozione italiana post-1987 della necessità del nucleare sancita dal secondo della coppia di Trattati di Roma del 1957, necessario ai Paesi manifatturieri per reggere la concorrenza degli altri Paesi membri contestualmente alla creazione della Cee, Comunità Economica Europea col primo di quei due Trattati. Non può reggere la manifattura energivora in una Comunità economica, e nel connesso Mercato comune, mantenendo differenze cruciali nel costo del chilowattora.

A questo proposito, notiamo che la Rimozione dell’energia che serve per lavorare insieme, proprio come ai tempi di Freud la Rimozione dell’energia che serve per amare insieme, tende ad essere contagiosa, con forme di pudore inibitorio della denominazione delle parti scabrose. L’ottimo presidente emerito del Cnel, Giuseppe De Rita, nell’elencare i primi passi costitutivi delle istituzioni europee, cita così: “Ceca, Euratom, Ced, Trattato di Roma”, non menzionando esplicitamente il Trattato costitutivo della Cee e del conseguente Mec, l’unico invece citato con rimpianto da Nigel Farage nel suo discorso d’addio al Parlamento europeo. In quello stesso discorso Farage prevede che l’Italia sarà la prossima ad uscire, per un motivo simile a quello per cui ha voluto uscire il suo Ukip, cioè il costo eccessivo del chilowattora, secondo la denunzia inglese, per colpa della pretesa dell’Unione (subentrata alla Comunità ed al Mercato Comune) di imporre eccessiva sicurezza al nucleare, facendo costare la costruzione di nuove centrali il quadruplo del realmente necessario. La Francia ha imposto questo eccesso securitario per conservare il suo privilegio nel campo, acquisito per iniziativa di Charles de Gaulle. Negli anni sessanta, quando la nostra centrale di Latina era potente quasi il doppio della più potente centrale francese, la Fiat si stava comprando la Citroën, ma De Gaulle intervenne esclamando: “Impossible! Citroën c’est France!”.

Allora, prendendo a pretesto la force de frappe, lui diede il via ad un programma che poi portò, fra gli anni settanta ed ottanta, alla costruzione di una cinquantina di centrali nucleari, che rovesciarono le rispettive quantità di prodotto per ora lavorata, e quindi i rapporti di forza concorrenziale, aggravati ulteriormente dalla nostra rinunzia del 1987. Tutti qui la prendono come una battuta comica, però altri in Francia considerano serissima la scena del generale De Gaulle che, dopo l’urlo di un sostenitore “Vive le Général! à mort les imbéciles!” improvvisamente si blocca, torna indietro, fissa negli occhi l’interlocutore stupito di tanta attenzione, e nel silenzio attonito degli astanti preannuncia un “vaste programme!” di vasta eliminazione di vasti errori. Però quel fervente gaullista, sia che abbia detto “imbéciles”, sia, secondo altri, “cons”, era comunque digiuno di psicoanalisi, la quale invece ammette intelligenza elevata e perfetta buona fede anche nei soggetti gravemente afflitti da Rimozione, Proiezione, ed altri sette o più meccanismi di difesa. Riconoscerli come tali è l’esatto contrario dell’insulto di quel gaullista: è un’apertura soccorritrice verso chi soffre in quanto affetto dai loro pesi. Per alleviare i quali Freud non propose che ci sottoponessimo in massa al trattamento psicoanalitico sul lettino: bastarono poche pubblicazioni, poche riunioni del gruppetto di studiosi che le aveva lette, pochi convegni, ed il sollievo dilagò senza più le opposizioni che all’inizio erano parse durissime.

Adesso basterà molto meno ancora, con Internet, social, webinar, web-meeting. Per avviare il processo, basta cliccare su un bel po’ di richieste d’amicizia su Facebook, ed alle accettazioni mandare un po’ di link ad articoli come questi, con richiesta di inoltro alle rispettive altre amicizie. Nello specifico, abbiamo visto che basta leggere alcune poche sentenze della nostra Corte costituzionale per capire che i due referendum falsamente creduti anti-nucleari semplicemente non sono tali. Di qui è facile smontare la falsa vulgata che ci ha privati del nucleare, anche individuando i contro-interessati, cioè i petrolieri in generale, ed in particolare la loro complice cosa nostra americana, purtroppo ancora vendicativa verso l’Italia. Ma la stessa motivazione alla segretezza, con cui tale alleanza ha sempre nascosto questo suo coinvolgimento, dovrebbe impedirle di contrastarci apertamente; e poi non è esclusa un’altra possibilità, cui stiamo lavorando col gruppo apiow.org. Quanto ai contro-interessati europei, francesi ed altri, abusivamente sedicenti Cee, Central-Estern Europe non dovrebbero osare esporsi oltre, arrivati al punto in cui siamo, anche perché capovolgerebbero la loro posizione rispetto ai nostri debiti verso l’Ecb, rivelandosi loro stessi colpevoli in vece nostra.

In conclusione, già prima di riprendere l’attivazione delle centrali, possiamo tornare attrattivi per gli investimenti privati nella nostra economia reale. Sarà pure brutto il rating dell’Italia nella “facilità di fare impresa”, ma non è affatto difficile scatenare il reshoring delle nostre bellissime imprese delocalizzate, riacquistando così la nostra capacità di produrre i prodotti più apprezzati da tutto il mondo. Potremo così tornare alla situazione degli anni sessanta e settanta, quando l’Italia cresceva più della media degli altri Paesi membri. Ma prima servirà tornare al Cnel, per rispondere con ulteriori argomenti alle richieste del presidente Treu citate all’inizio.

(*) Consigliere Astri, ex presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi (Cnop) e del European Council of the Liberal Professions (Ceplis)


di Pierangelo Sardi (*)