Sogin batta un colpo su un serio cambiamento

lunedì 4 maggio 2020


La vicenda delle spese per comunicazione effettuate dalla Sogin, la società nata per la dismissione degli impianti nucleari italiani, che ha anche il compito di individuare e costruire il Deposito nazionale dei rifiuti nucleari, in assenza, almeno per il momento, di risposte concrete da parte della società, lascia aperti molti interrogativi che vanno anche al di là di quanto finora sottolineato e chiesto di chiarire anche a livello istituzionale. Proviamo a riassumere in poche righe la vicenda, ad uso di coloro ai quali fosse sfuggito qualcosa. La vicenda parte nel triennio 2013 – 2016 (ma non si sa se abbia ancora oggi strascichi o se si stiano attuando comportamenti simili), quando qualcuno all’interno dell’amministrazione di allora decise soggettivamente, senza avere, a quanto risulta dall’analisi del Decreto legge 31/2010 e successive modifiche e integrazioni, il supporto di uno strumento di legge che lo consentisse o lo autorizzasse, di far partire un piano di comunicazione dedicato al Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi che, tuttavia, non è mai stato autorizzato dal governo.

In tale quadro, si sarebbero sostenute spese per viaggi ed eventi di varia natura, incluse ripetute e forse promiscue visite in depositi situati in luoghi ameni come l’Andalusia e la regione dello Champagne in Francia, spese che non hanno giustamente trovato poi copertura e conforto proprio nelle voci dedicate al Deposito Nazionale, da parte dell’Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) che finanzia la Sogin attraverso la bolletta elettrica che noi italiani paghiamo. Per maggior scrupolo di informazione tutto questo è perfettamente riscontrabile nei bilanci di esercizio e nel Bilancio di Sostenibilità della Sogin. Nonostante questo, la cosa per il momento non era ancora emersa.

Sarà la riservatezza, o forse una distrazione generale, oppure la complessità dell’azienda e del settore ad aver favorito l’immersione di questi fatti, che tuttavia riemergono a distanza, come un flusso carsico, in modo quasi inevitabile, quasi volessero rappresentare un monito a futura memoria anche per le gestioni presenti e future. La complessità del settore è senz’altro un fattore importante, ma lo è nel bene e nel male. Nel bene perché il sistema di decommissioning (lo smantellamento degli impianti nucleari) italiano è molto serio e probabilmente più accurato quanto a verifiche e controlli rispetto ad altri stati esteri. Nel male perché tale complessità può diventare, come spesso accade quando le burocrazie, anche quelle costruite internamente, sono troppo complicate o articolate, dominio di pochi che sui meandri delle procedure e, soprattutto, delle relazioni che tali procedure implicano, possono costruire carriere, rapporti ad uso privato, domini esclusivi per rendere sé stessi indispensabili e inamovibili e pazienza se magari i lavori rallentano o si fermano e se all’azienda non vengono riconosciuti oneri e costi che, in condizioni normali e con la corretta osservanza delle norme sarebbero stati riconosciuti, tanto è tutto così complicato che figuriamoci se qualcuno se ne accorgerà.

Il riconoscimento dei costi alla Sogin avviene attraverso un sistema di premi (e penalità, aggiunte dopo) curato dalla succitata Arera, che semplificando è basato sugli stati di avanzamento delle commesse legate allo smantellamento e alla costruzione del Deposito unico nazionale. Il tutto deve essere fatto a norma delle indicazioni tecniche della Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione), istituzione cronicamente sottodimensionata. A questo si aggiungono tutte le procedure legate al Codice Appalti, oltre a tutti gli strati autorizzativi regionali, comunali e quant’altro. Insomma una vera e propria giungla normativa e burocratica. Intendiamoci, non tutti i ritardi di queste commesse sono da ascrivere all’azienda, anzi nel caso del Deposito nazionale, infatti, sono stati i governi che si sono succeduti a non decidere, proprio la mancanza di tale decisione, sul Deposito Nazionale, impediva di procedere con il faraonico piano di comunicazione effettuato da Sogin nel 2015, che comunque, come da bilancio di esercizio e di sostenibilità, invece s’è fatto.

Allora vengono in mente altre domande, che vanno oltre il coinvolgimento dell’allora presidente e dell’attuale direttore delle relazioni esterne, fatto di facile deduzione o intuizione e comunque da precisare meglio nei suoi contenuti, e anche nei suoi gradi di gravità, da parte dell’azienda o da chi eventualmente farà le dovute verifiche. Un’azienda così complicata, in un settore così articolato, ha certamente funzioni organizzative dedicate a fornire informazioni a tutte le entità esterne coinvolte che, nel caso di specie, oltre alle citate Arera e Isin, erano anche i ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente, dell’università e della ricerca, oltre all’azionista ministero dell’Economia.

Guardando la struttura organizzativa dell’epoca (fonte, bilancio di esercizio 2015), se ne trovano almeno quattro: una è la citata direzione Relazioni Esterne, la seconda è la Divisione deposito nazionale e Parco tecnologico che, tuttavia, da un’analisi più approfondita sul sito della Sogin, sembra avere una funzione meramente tecnica, la terza è la funzione pianificazione e controllo che, citando il bilancio, è stata “scorporata nel corso del 2014 dalla Divisione corporate e posta a diretto riporto dell’amministratore delegato – al fine di garantire un monitoraggio puntuale dell’avanzamento economico delle attività Sogin con particolare riferimento al Decomissioning, garantendo inoltre un controllo puntuale dei dati di preventivo e consuntivo oggetto di reporting all’Autorità per l’energia elettrica e il gas”, e l’ultima è la Divisione regolatorio, il cui responsabile all’ora fino a giungere ai giorni nostri è rimasto invariato (non più “divisione” ma funzione di primo livello), con la seguente declaratoria: “Gestisce i processi di permitting ambientale, licensing e i rapporti con gli organismi di regolazione, in particolare l’Arera, presidiando e monitorando i processi connessi al sistema regolatorio del decommissioning” (fonte, sito Sogin).

Appare chiaro che qualcosa dev’essere andato storto, se nessuna delle funzioni indicate sopra, ma in particolare la Divisione Regolatorio, non si fosse accorta che si stavano mettendo in essere attività non dovute, non opportune ed es responsabile tremamente care. Possibile che il responsabile in tale incarico di Sogin nei confronti di Arera fosse così distratto da non accorgersi preventivamente che si stavano avviando attività che l’Autorità non avrebbe mai e poi mai riconosciuto? Possibile che, sempre il responsabile della Divisione Regolatorio, non abbia mai sollevato un’osservazione, un problema, un dubbio? Se le cose stessero davvero così, come sarebbe da catalogare un tale comportamento? Si sta parlando di una cifra che, bene che vada, balla fra 3,2 e 4,1 milioni di euro. Possibile che sfugga? Possibile che nessuno, anche in sede di programmazione o reporting, non abbia notato questa anomalia? Possibile che nessuno l’abbia segnalata al Cda o a chi in tale Consiglio ci doveva andare, per prendere una decisione, per votare? Oppure si tratta di fatti che rimangono in circoli ristretti, di amici veri o occasionali (o congiunti), che vengono infiocchettati per l’esterno in modo da renderli accettabili o normali.

Diciamo che fin qui sembra la trama di una storia di presunta mancanza di oculatezza e di sperpero di denaro pubblico, in cui si fa fatica a capire quanto la bilancia si debba posare su una presumibile superficialità, quanto sull’inerzia, su spese inutili o altro. Certo è che il settore, la materia trattata, i pericoli, sono così seri che l’azienda che gestisce tutto questo non può continuare sulla stessa linea compiendo scelte che vanno nella stessa direzione del passato. È solo una questione di buon senso, ci vuole semplice e banale buon senso, altrimenti ciò che emergerà e che la bilancia si poserà, volutamente, sull’inerzia, sulla mancanza di volontà per un vero e serio cambiamento. Se nei fatti tutto questo non accadrà, agli occhi dell’opinione pubblica e anche a quelli dei lavoratori dell’azienda stessa, sarà d’obbligo dedurre che chi ne risponderà non sarà solo una passata gestione, ma anche quella presente.


di Edmond Dantès