Il diritto ad una nuova normalità

mercoledì 15 aprile 2020


Il governo risponda subito ai cittadini in modo da dare loro contezza del fatto che si stia facendo davvero qualcosa per il loro futuro prossimo, però qualcosa che vada oltre la app per l’autocertificazione o uno stuolo imprecisato di componenti di una commissione.

In tanti, in queste settimane dal tempo sospeso, si sono esercitati, talvolta con toni aulici ed entusiasti, spesso apocalittici, qualche volta razionali, sui cambiamenti che questa pandemia porterà alla nostra società. Abbiamo letto e sentito di tutto, dalla fine del capitalismo sulla quale si sono esercitati nuove star dell’economia statalista come la professoressa Mariana Mazzucato, redivivi del comunismo italiano d’antan, dirigenti sindacali che trovano un rinnovato ruolo nella possibilità di imporre divieti agli imprenditori, e poco importa se le piccole aziende entreranno in crisi e licenzieranno i dipendenti. Si tratta di piccole aziende e queste, come è noto, non sono sindacalizzate, da lì i soldi ai sindacati non arrivano.

Ci sono poi i finti ecologisti, quelli che in realtà dovrebbero chiamarsi neo-luddisti, contrari ad ogni cambiamento e che vorrebbero trasformarci in un piccolo mondo antico, come se le lancette della storia potessero essere portate indietro con disinvoltura, non ci fosse più bisogno di elettricità, di frigoriferi, lavatrici, macchine, treni, aerei e gli stessi computer e smartphone, strumenti peraltro con impronta ambientale (ecological footprint) e impronta di carbonio (carbon footprint) fra le più alte in assoluto, con i quali questi profeti del passato divulgano le loro prediche sul futuro e ai quali non rinuncerebbero nemmeno sotto tortura.

Infine, gli ecologisti apocalittici, spesso confusi e compenetrati con i precedenti, che salutano il Covid-19 come una benedizione, qualcosa che fa respirare il pianeta, ci riporta ad una dimensione al contempo più umana e nella quale si vedrebbe che il vero problema sono proprio gli umani che, al limite del ragionamento, sarebbe bene se si estinguessero. È bene tralasciare la considerazione sul fatto che esistono anche dei folli che seguono queste tendenze e che affiderebbero i propri figli a chi ha in odio l’essere umano, ma la cosa tragicomica è che a queste persone i dati gli fanno un baffo, non importa se la pianura padana è stata invasa da polveri sottili anche se il traffico era ridotto al lumicino, questo dovrebbe far pensare a politiche inutili tipo il fermo delle auto e pensare piuttosto a come incentivare meglio la riqualificazione dei sistemi di riscaldamento delle abitazioni o a individuare altre cause e invece no, meglio fermare tutto, perché per l’ambiente è meglio.

E poco importa che mentre le attività rallentano in tutto il mondo si apra uno squarcio nello strato di ozono fra i più larghi che ci siano mai stati, le correlazioni degli apocalittici non sopportano dubbi di alcun tipo. Quello di cui si sente la mancanza, soprattutto in Italia, è una buona dose di razionalità nella gestione del presente, che ci consenta di prefigurare un futuro normale. Non abbiamo l’illusione che tutto possa ritornare com’era prima, è evidente che si è fatto un salto di qualità su molte cose ed è anche evidente che non si tratta di un salto in alto, quanto piuttosto del cambiamento nell’approccio alle cose normali. Se è vero, come da più parti si legge, che il 75 per cento degli acquisti online sono stati fatti da persone che non ne avevano mai fatto uno prima, è ragionevole aspettarsi che questa modalità si accentuerà stabilmente nel futuro e questo fatto non è certamente neutro nei confronti di investimenti in attività, immobiliari, dei fondi pensione che investono a loro volta in immobili, nei paesaggi cittadini, nello stesso presidio delle strade e dei quartieri e, in fondo, nella loro vivibilità.

Si è impressa un’accelerazione significativa ad un fenomeno forse inevitabile, ma come si sa non è il cambiamento il sé a generare spiazzamento, quanto i ridotti tempi di adattamento. Fra l’altro, questo cambiamento, considerato positivamente anche dai finti ecologisti di cui sopra, dai fan delle chiusure aziendali e del distanziamento sociale, fra pochissimo tempo mostrerà le sue crepe, a fronte di produzioni industriali rallentate. Quanto sarà invece la quota aggiuntiva di imballi di carta e plastica che si genererà a causa degli acquisti online? Ed i sistemi di raccolta e riciclo, non tanto del mondo occidentale, ma di chi, India e Cina, realmente lasciano nell’ambiente questo genere di sottoprodotti, che impatto ne avranno? I fatti sono più complessi delle facilonerie di chi sa solo chiudere, vietare e controllare, i sistemi più articolati e interrelati di quanto si pensi, occorre adattare il pensiero a questa complessità.

Un altro aspetto che piace tanto a questi dirigisti privi di idee utili è la cessione di una parte della nostra libertà in nome della sicurezza. L’accettazione del controllo asfissiante, del divieto di uscire dell’esaltazione della delazione del prossimo come espressione di massimo senso civico. Rifiutiamo e rimandiamo al mittente tutte queste pessime intenzioni. Quello che si vuole affermare è il diritto ad avere una normalità, non un ritorno al passato, ma una nuova normalità nella quale si possa dire che esiste ancora un patto sociale con chi ci governa, che ad oggi risulta assente o illusorio. Lo risulta ancora di più dopo aver appreso che mentre il presidente del Consiglio tranquillizzava gli italiani al contempo ordinava mascherine e altri apparati di protezione personale per sé e il suo staff. Gli italiani invece hanno dovuto aspettare una gara Consip i cui esiti si vedranno fra qualche mese, alcuni dicono ad epidemia conclusa. Vorremmo sapere quali siano i provvedimenti che si stanno mettendo in campo per questa nuova normalità.

Quali gli investimenti in sistemi di protezione diversi dalla reclusione a casa, quanti tamponi per il controllo effettivo della salute di sintomatici e asintomatici, quanti test per la verifica della presenza di anticorpi in persone già guarite e potenzialmente in grado di spostarsi e lavorare in condizioni di sicurezza personale, quali provvedimenti a favore dei cittadini costretti ad andare a lavoro con mezzi privati, visto che quelli pubblici rappresentano un possibile luogo di contagio, quanti saranno da qui a uno o due mesi i posti in terapia intensiva per la cura di eventuali picchi, quali saranno i protocolli per la gestione di eventuali nuovi focolai specificamente localizzati? È lecito porre adesso queste domande e sarebbe opportuno che il governo rispondesse subito ai cittadini in modo da dare loro contezza del fatto che si stia facendo davvero qualcosa per il loro futuro prossimo.

Qualcosa che vada oltre la app per l’autocertificazione per la quale non ci voleva certamente Vittorio Colao, che comunque si ringrazia, ed uno stuolo imprecisato di componenti di una commissione di cui ancora non si conoscono bene né ruoli, né competenze, oltre che i nomi. Il problema, caro presidente Giuseppe Conte, non è avere, per parafrasare le sue parole, “un governo che non lavora col favore delle tenebre”, ci basterebbe avere un governo che lavori. Almeno nelle ore diurne.


di Alessandro Cicero