Autopsia dell’Europa

martedì 14 aprile 2020


L’idea che gli Stati europei, concezione contemporanea, potessero unirsi oltre i comuni denominatori di radice ellenica, e successivi allargamenti, nacque con una radicale ed ambiziosa prospettiva, che era quella di vedere un’Europa non solo come dinamico concetto geografico, ma come unica “entità politica”. Tuttavia, già dopo alcuni decenni, si delineò una sorta di “deformazione” della “struttura europea”, che definiva l’Europa “un gigante economico e un nano politico”.

L’Unione europea, come sappiamo, nasce su necessarie basi “pacifiche”; un pacifismo “imbrigliato” dalle Cooperazioni, non a caso, tra le prime vi era anche l’Euratom (1958). Questa Europa prima “ideologica” poi reale, prese vita, da Altiero Spinelli, Robert Schumann, Leo Valiani, Ernesto Rossi, Jean Monet, Konrad Adenauer ed altri “pionieri”, guidati da geostrategie dettate dalle “necessità” e con lo scopo di evitare il “sistematico” spargimento di sangue nel Continente. Le due guerre mondiali, causate e perse dalla Germania (principalmente), avevano devastato il Continente e la sua “morale”; una Terza guerra mondiale non si sarebbe dovuta verificare. Dal 1957, la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio unì gradualmente i paesi europei aderenti, sia economicamente che politicamente, con lo scopo di assopire le ambizioni nazionali e sciovinistiche e garantire una pace duratura.

Il primo importante test europeo fu la Guerra fredda che coinvolse, in vari modi, i sei paesi fondatori, che negli anni Cinquanta dovettero affrontare articolate posizioni politiche che interessavano l’Europa Orientale (Europa di Centro - Ungheria), l’Oriente ed anche l’Occidente.

Come sappiamo, da lì in poi, l’Europa ha “galoppato” lungo la strada della “sovranità” mascherata dalla “sussidiarietà” (incapacità degli Stati membri di produrre un sufficiente risultato che impone l’intervento europeo) e dell’”allargamento”, con crescita esponenziale, acquisendo sempre maggiori “caratteri di potere”: moneta (ed effetti collaterali), soprattutto.

Detto questo e vista la difficilmente prevedibile crisi pandemica che sta soffrendo l’Europa ed il Pineta, ed alla luce della recente “attuazione” del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) da parte dell’Italia, questo “smarrimento” di una parte della sovranità nazionale e della “democrazia” serve?

Bisogna prima di ogni altra cosa stabilire se l’Unione europea, in quanto regime di governance, genera o meno una democrazia sovranazionale, di conseguenza bisogna analizzare quali sono gli effetti e le influenze della sua “esistenza” sulle democrazie nazionali.

Si può affermare che l’Unione europea (Ue) è un “creatore” anche se “imperfetto”, di democrazia a livello europeo e tendenzialmente “contagiosa” verso i “confinanti”; malgrado ciò, l’Unione è complessivamente distruttiva della democrazia, proprio per gli effetti della sua presenza sul tradizionale funzionamento delle democrazie nazionali. Quindi, il famoso “deficit democratico” non è tanto a livello europeo quanto a livello nazionale.

Va detto che, questo deficit democratico, questo annichilimento della democrazia nazionale, non è in realtà prodotto dall’Ue, ma dall’integrazione europea che ha generato e genera, nuove pratiche di governance in tutti i paesi membri, indebolendo le tradizionali pratiche della democrazia.

Ritengo che il vero problema nel “gestire” questa situazione di bilanciamenti di sovranità sia dovuto non tanto dal “Sistema europeo”, ma dai suoi leader politici che non hanno adeguato e sviluppato idee ed atteggiamenti per fagocitare “favorevolmente” questi cambiamenti, né nuove pratiche per riequilibrare il funzionamento delle democrazie nazionali, in breve non c’è stato un adattamento.

All’opposto, continuano a proiettare visioni molto tradizionali del funzionamento democratico; i loro atteggiamenti suggeriscono che nulla è cambiato, mentre molto è cambiato: il risultato è una profonda crisi democratica a livello nazionale, “somministrata” lentamente ma ormai “quasi letale”. Il risultato, ed è sotto i nostri occhi, è una democrazia frammentata, con identità sempre più eterogenee, con confini diversi, adesso autogestiti nazionalmente, con sovranità condivisa e governance complessa. È chiaro che non ci si può aspettare che l’Unione sia una democrazia dello stesso tipo di quella di uno stato nazionale, la democrazia sovranazionale europea è molto diversa dalla democrazia nazionale, è appunto frammentata e frammentante allo stesso tempo, ricordando la famosa frase di Abraham Lincoln (1809-1865, sedicesimo presidente Usa): “... il nostro governo legittimo che è del popolo, del popolo e del popolo”; rappresentanza dei cittadini, partecipazione politica e magari governance efficace.

Infine, voglio ricordare una vecchia opera di Federico Chabod titolata “Storia dell’idea d’Europa” del 1961; in esso vengono sviluppati i vari passaggi che, dall’antichità portarono alla formazione di una contemporanea coscienza europea, vale a dire la consapevolezza di fare parte di una realtà politica, geografica e culturale, avente una propria e definita specificità. In breve: la distinzione tra gli ateniesi che contrapposero la loro idea di civiltà a quella di espressione asiatica, poi la differenziazione tra Romani e Barbari, poi il Cristianesimo che determinò un allargamento, ma anche una divisione, per concludersi tra la differenza tra Europa e non Europa. Oggi ritengo che in questa dinamica socio-europea la distinzione debba essere fatta tra cultura mediterranea e non mediterranea (di craxiana memoria), alla luce del fallimento, ma verosimilmente fa parte di un ciclo, che con la scelta del Mes chiude la “parabola sociologica” discente dell’idea d’Europa e che sicuramente distruggerebbe ed amareggerebbe “l’anima” dei “pionieri” di un’Europa che oggi si presenta come un complesso e caotico contenitore di finanze, di burocrazia e con poche opportunità, che “rallegra” solo i “registi semi occulti sovranazionali”.

Ricordo che nel marzo 2011, presso la Commissione degli Affari costituzionali del Consiglio europeo, sedeva Roberto Gualtieri, anche relatore del complesso e discusso Mes; coincidenza, che proprio Gualtieri era il relatore di questo strumento e che nel 2020, in crisi pandemica, è lui a trattare come ministro (tecnico) dell’Economia e Finanze Italiane, per l’ attivazione di questo “fondo”?

È quindi questa “terza fascia di conoscenza”, composta da tecnici europei che silenti e schermati da tutto, lavorano nella penombra in attesa del momento migliore per realizzare i piani strategici per “soggiogare” i pesi di una Europa irriconoscibile anche ai suoi “padri”?


di Fabio Marco Fabbri