giovedì 27 febbraio 2020
Quando governa il centrodestra in caso di crisi economica e finanziaria, di emergenza nazionale, di sfaldamento della maggioranza, di isolamento nella Ue, si manda via il premier e si cambia governo, se a governare è il centrosinistra serve che tutto resti tale e quale ma col sostegno unanime e corale. Insomma il paragone col governo Berlusconi del 2011, seppure nelle differenze, viene in mente e sia chiaro noi siamo tra quelli che criticarono frontalmente la cacciata del Cavaliere, anche perché tra le differenze di allora con ora ce n’è un grande, Silvio Berlusconi fu votato dalla gente e vinse le elezioni.
Quell’esecutivo e quella maggioranza infatti ebbero un largo successo elettorale che resta l’ultimo del Paese, visto che da allora nessuna maggioranza e nessun governo sono usciti dalle urne e dalla volontà popolare, ma da accordi parlamentari postumi, talvolta impropri e abborracciati ad hoc. Ebbene il Conte bis è figlio ancora più del Conte uno, di un raffazzonamento tra chi fino al giorno prima si detestava, giurava l’impossibilità di stare assieme, si attaccava quotidianamente su tutto a partire dalle scelte di politica economica, industriale e del lavoro.
Si tratta di un’altra diversità fondamentale col governo del cavaliere che vinse largamente nel 2008 sulla base di un programma chiaro e condiviso nel centrodestra, tanto è vero che fu portato avanti e, piaccia o meno, fino all’inizio del 2011 il paese cresceva e stava bene nei suoi fondamentali. Dopodiché a partire da quella primavera e soprattutto in estate e fino all’autunno, successe ciò che oramai fa parte della storia, l’isolamento improvviso dall’Europa, le critiche violente, lo sfaldamento della maggioranza, la crisi economica, dei mercati delle borse e l’esplosione dello spread.
Per farla breve, si creò una emergenza nazionale tale da suggerire un cambio immediato di governo e di maggioranza per affrontare al meglio le difficoltà e le criticità allarmanti anche grazie al supporto parlamentare più ampio possibile. Ebbene abbiamo già detto che non condividemmo affatto quella scelta non fosse altro che per una lettura molto diversa del perché e del percome di quei fatti e di quegli accadimenti, ma al netto del nostro giudizio ininfluente e relativo, la domanda sulla diversità di scelta ci può stare.
Insomma se quel governo, del Cavaliere, oramai in balia dei numeri e degli “scilipoti”, in preda ad una crisi economica generale, isolato dall’Europa sulle scelte, messo sotto allarme dalle agenzie di rating, non era più in grado di fronteggiare l’emergenza perché quello di Conte lo sarebbe? Eppure lo sappiamo il Conte bis già da ben prima che scoppiasse il Coronavirus arrancava ed era in bilico costante, con la minaccia di rottura della maggioranza, in perenne lite fra ministri, alle prese con una recessione incombente e una crisi galoppante, sotto esame della Ue dei mercati.
Tanto è vero che non solo più di una volta è giunto ad un passo dalla fine a pesci in faccia fra alleati, ma si è ingessato su tutto in questi mesi, obbligato per un verso all’immobilismo e per l’altro a scelte sulla finanziaria esattamente opposte al necessario, prova ne sia il Pil che è in discesa netta. Come se non bastasse sfortunatamente è arrivato pure il virus cinese e guarda caso maggioranza e governo sono entrati nel pallone, nelle scelte, nelle discordanze, negli stop and go, nello scontro con le regioni e con la Ue, gettando il paese nella paura, nella confusione e nel blocco di ogni attività.
Tant’è che ora ci ritroviamo alle prese con una emergenza sanitaria nazionale, con l’economia a rischio, dall’export ai consumi alla produzione, con un clima di sfiducia generale e con l’Europa e il mondo che ci trattano da untori. E allora delle due l’una o come nel 2011 cambiamo il Conte bis per un governo di larghe intese e di emergenza temporanea in grado di contrastare su tutto il fronte con scelte forti e coraggiose a vantaggio dell’economia, della ripresa, della sicurezza e dell’immagine del Paese, oppure tutti buoni sperando che comunque vada bene e così sia.
di Alfredo Mosca