mercoledì 22 gennaio 2020
Alle prossime Politiche, Giuseppe Basini immagina due fronti contrapposti come nel 1948. Centrodestra, da una parte e centrosinistra, allargato ai pentastellati, dall’altra. Di un fatto è convinto il deputato leghista: “la Lega è il nuovo partito liberale di massa”. Basini, astrofisico 72enne di Reggio Emilia, figura tra i fondatori della Destra liberale italiana, insieme al direttore de L’Opinione Arturo Diaconale, all’eurodeputata leghista Cinzia Bonfrisco, ad Alessandro Sacchi, presidente dell’Unione monarchica italiana e a Michele Gelardi, presidente dell’Associazione Stato Minimo.
Perché Destra liberale è confluita nella Lega?
La Destra liberale rappresenta il tentativo di realizzare un raggruppamento che abbia, da un lato un carattere identitario chiaro. Dall’altro, l’obiettivo di rendere più liberale possibile tutto il centrodestra. Dunque, si tratta di una dichiarazione d’identità ma anche di un programma politico. Dopodiché, Destra liberale non è un partito. E non è neppure una corrente. È un’associazione politico-culturale.
Lei ha dichiarato che le prossime Politiche saranno sul modello delle elezioni del 1948. Perché?
Mi sembra che sia nelle cose. Venuta meno la funzione di un centro che praticava la politica dei due “forni”, come diceva Giulio Andreotti, ed essendo presenti due schieramenti, uno di centrodestra e uno di centrosinistra, è chiaro che ci sia una competizione che diventi anche uno “scontro frontale”. Com’era all’epoca tra Democrazia cristiana e i suoi alleati da una parte e il Fronte democratico popolare, dall’altra. Nel 1948 tutto il centrodestra era rappresentato dalla Dc, dai liberali, dai socialdemocratici e dai repubblicani. Fu una campagna elettorale molto vibrante. Io vedo delle analogie con quella stagione politica. Allo stesso tempo, registro preoccupanti segni di regressione nella sinistra. Al governo, stanno varando provvedimenti da Stato di polizia. Che si tratti di prescrizione, di moneta contante o di trattamento fiscale. Un altro aspetto che trovo abbastanza preoccupante è questa tendenza della sinistra ad andare a disturbare, in continuazione, i comizi della Lega.
Naturalmente, si riferisce alle Sardine?
Certo. Trovo preoccupante un gruppo che ha come scopo sociale l’organizzazione di manifestazioni di disturbo nei confronti della Lega. Ma non solo perché nasce in contrapposizione. È il metodo che non condivido. Anche questo atteggiamento mi fa pensare che alle prossime Politiche sia in gioco qualcosa di importante. Non solo un programma di governo ma anche una scelta tra libertà e democrazia con il centrodestra e la loro negazione con il centrosinistra.
Il sistema proporzionale ostacolerà o favorirà la contrapposizione dei due fronti politici?
Il sistema maggioritario è chiaro. Ed è il sistema preferibile. Io ero referendario insieme a Mario Segni. Ma quando dico maggioritario, intendo il collegio uninominale. Non mi piacciono molto i premi di maggioranza. Con l’uninominale c’è un rapporto tra il candidato e l’elettore. Però è anche vero che nel 1948 era in vigore il sistema proporzionale. Quindi non penso che il proporzionale o il maggioritario abbiano riflessi importanti sulla contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra. Però penso che il proporzionale abbia il difetto, soprattutto senza preferenze come lo pensano i giallorossi, di una legge che produce dei “nominati”. Mentre con il maggioritario conta anche il valore personale del candidato.
Lei ha sostenuto più volte che la sinistra ha smarrito la fede nel progresso. Cosa intende?
La sinistra, storicamente, sia pure in maniera molto rozza, ci ha fatto pagare prezzi altissimi. La sinistra tradizionale conservava questa fede. La sinistra di oggi mi sembra, almeno in parte, in preda a quella che io chiamo “pazzia verde”. La sinistra attuale è contraria al progresso tecnico-scientifico. Quindi non teorizza più neanche un modello di sviluppo.
La scorsa settimana, a Roma, è stato tra i promotori di un Convegno dal titolo “Riflettere per progettare un futuro umano”. Perché un tema così impegnativo?
Credo dipenda dalla mia formazione. Io faccio politica fin da quando ero studente. Mi iscrissi giovanissimo al Partito liberale. Però sono astrofisico di mestiere. Per cui, essendo uno scienziato, ritengo importante analizzare quali saranno i possibili sviluppi futuri, tecnici, scientifici, ma anche nel campo del diritto, dell’economia. La sinistra ha smesso di progettare il futuro. Parla solo di temi vecchi. Dall’archeologia sindacale all’antifascismo. Avendo la sinistra smesso di pensare e progettare il futuro, deve provarci la destra.
Perché in Italia l’antifascismo non può essere un terreno condiviso da destra e sinistra?
Semplicissimo. Vede, io difendo la libertà e la democrazia definendomi contro la dittatura e contro il totalitarismo. Definirsi antifascisti vuol dire strizzare l’occhio ad una precisa parte politica. Significa dire: “il fascismo è una brutta cosa. Però il comunismo e le dittature teocratiche, meno”. Allora anche la Treccani e la bonifica delle paludi sono “cose brutte e sbagliate” perché furono opere fasciste? Io sono convinto che l’antifascismo sia un alibi per sorvolare sulle dittature teocratiche o quelle comuniste e per dividere. La parola antifascismo è riduttiva e sbagliata.
Nel corso del suo intervento al convegno, lei ha detto che il punto fondamentale è concepire un futuro che garantisca la libertà. Cosa intende?
Mi riferisco, innanzitutto, ad un problema di spazio e di risorse. È chiaro che in campagna si abbia più libertà della città. Parlo di spazio a disposizione. Ma anche di risorse. E se le risorse sono poche vanno suddivise. Noi finora abbiamo garantito la libertà e anche una certa giustizia sociale grazie all’espansione economica. Se l’espansione economica non c’è è difficile garantire la libertà, che è anche legata alla possibilità di accumulare capitali e fare funzionare l’industria, ma, contemporaneamente, distribuire ricchezza. È il progresso economico che permette da un lato di avere capitali, dall’altro lato di poterne distribuire almeno una parte. Se il progresso non c’è noi rischiamo davvero di avere un futuro in cui a ciascuno viene assegnato il compito da portare avanti o quanti figli può avere. Quindi, l’espansione, non solo è il modo tradizionale in cui la specie umana si è sempre comportata, ma è anche una necessità.
Fino a qualche anno fa Forza Italia si definiva un partito liberale di massa. A suo avviso, la Lega può raggiungere questo obiettivo?
La Lega è già il nuovo partito liberale di massa. Perché la Lega è tradizionalmente liberista. Giancarlo Pagliarini, già all’epoca di Umberto Bossi, fu un ministro (del Bilancio e della Programmazione economica del primo governo presieduto da Silvio Berlusconi, tra il 1994 e il 1995, ndr) che dava la linea della Lega in economia. Ed era una linea liberista. Sostegno alle Partite Iva e riduzione delle tasse. Oltretutto, la Lega è un partito che non ha ascendenze. Nel senso che non si rifà a qualcosa. Il Pd si rifà al comunismo e l’Msi al fascismo. La Lega non ha un bagaglio tradizionale che l’appesantisce.
di Andrea Di Falco