Make Britain great again?

giovedì 19 dicembre 2019


Innanzitutto applaudiamo al risultato delle recenti elezioni in Gran Bretagna propedeutiche alla Brexit che dovrebbe segnare l’uscita definitiva da un'Unione europea corrotta, disfunzionale e costosa.

Il primo commento è che tale evento potrebbe essere la cosa migliore mai accaduta alla Gran Bretagna dalla fine della Seconda guerra mondiale. Non sarà più vassalla in una Unione pilotata da una Commissione che non si candida mai alle elezioni e un Parlamento che non ha il potere di elaborare leggi, con la conseguenza che i cittadini non hanno il diritto di votare e pertanto non saranno mai in grado di cambiare le politiche che incidono sulla loro vita. Non dipenderà da una capitale di lobbisti (più di 10mila registrati) che inducono gli eurocrati a distribuire un bilancio annuale di 150 miliardi di euro tra i favoriti dalla politica. Infine dovrebbe evitare il danno, in prospettiva il più grave, dei migranti dal Medio Oriente e dall'Africa che l'Europa continentale non riuscirà a risolvere in quanto è un amalgama di Stati assistenziali che attirerà milioni di poveri, ovviamente dei Paesi poveri con i musulmani in rapida crescita. Gli standard di vita dei governi europei che stanno importando queste persone con costi enormi, crolleranno in maniera impressionante. Non solo l’Unione promuove politiche sbagliate, ma fa sì che l'intero continente sopporti l'onere degli errori commessi da ogni altro membro. Insomma, la Gran Bretagna sarà fuori da tutto questo incubo, libera di governarsi attraverso le proprie urne elettorali.

La seconda considerazione riguarda la correlazione tra la politica britannica e quella americana. Margaret Thatcher diventò primo ministro il 4 maggio 1979. Ronald Reagan fu eletto il 4 novembre 1980. Il referendum Brexit ha avuto luogo il 23 giugno 2016. Donald Trump è stato eletto l'8 novembre 2016. Il trend politico anti-establishment è iniziato sempre in Gran Bretagna diffondendosi negli Stati Uniti come un contagio finanziario. Tuttavia si sono manifestate forze in senso contrario scatenate dalle élite politiche-finanziarie dei due Paesi per annullare il voto dei cittadini e riprendere il controllo dello status quo. Nel Regno Unito la spinta proveniente dagli Usa per ribaltare il referendum sulla Brexit è stata fortissima. Prima l’ex presidente americano Barack Obama e poi Hillary Clinton nei loro soggiorni a Londra si pronunciavano ufficialmente contro il referendum britannico arrivando a minacciare ritorsioni commerciali. Obama gelava le relazioni diplomatiche dichiarando di aver rimosso un busto di Winston Churchill dalla Casa Bianca. Il busto fu poi rimesso nella Sala Ovale dal successore, Donald Trump.

Era chiaro già fin prima del referendum che un'amministrazione democratica negli Stati Uniti non si sarebbe mai schierata dalla parte della Brexit (e purtroppo neppure i liberali europei, anestetizzati dalla propaganda politica). La sinistra americana, infatti, ha sempre amato l'Unione europea. Ama il suo sistema di regole, il potere centralizzato rappresentato da una super-burocrazia dotata di potere senza responsabilità così come la minima interferenza da parte dell’elettorato. Sono condizioni che vorrebbe imporre negli Stati Uniti e, se potesse, probabilmente porterebbero gli Stati Uniti nell'Unione europea. Potere massimo centralizzato e potere minimo ai cittadini: esattamente il modello che i britannici hanno respinto col referendum del 2016.

Quella potente alleanza di agenzie governative, politici e burocrati di sinistra radicale e dei media, che dal 2016 ha lavorato per distruggere Donald Trump e la volontà democratica del popolo americano e che si chiama "stato profondo", esiste anche in Gran Bretagna e ha lavorato per minare la Brexit nonostante la più alta affluenza mai registrata per un referendum e il voto inequivocabile per lasciare l'Ue. Lo stato profondo britannico include alcune delle personalità e delle istituzioni più influenti della nazione, tra cui la Bbc, la Commissione elettorale, il Ministero del Tesoro, la Banca d'Inghilterra, la Confindustria britannica e una miriade di politici in carriera, funzionari pubblici, élite, media e pure l’ex primo ministro conservatore appartenente al campo del “Remain”, Theresa May, che ha assecondato Bruxelles nel mantenere un clima di incertezza per spaventare i brexiteers.

Sono così passati tre anni senza che succedesse niente, salvo il lavoro per la creazione di una potente macchina propagandistica per respingere il mandato democratico del popolo britannico e mantenere la nazione unita all'Unione europea. La macchina della propaganda ha tenuto la Gran Bretagna sotto pressione e in un clima di incertezza paralizzante. Nessuno controllava dati e statistiche, neppure le più elementari che dimostrano che il Regno Unito è, in Europa, primo Paese importatore e anche primo Stato dell’Unione a vendere all'esterno più degli altri Paesi membri. Avrebbe potuto negoziare da una posizione di forza specialmente con la Germania che ha bisogno di vendere le sue auto di qualità in un Paese ricco. Che cosa dunque poteva minacciare la sterlina? Ma è la stessa cosa che accadde vent'anni fa quando fu evocato uno scenario apocalittico perché rifiutava di aderire all'euro. Allora la propaganda politica dette la sterlina per spacciata e i principali produttori di automobili tedeschi per coprirsi contro il rischio di svalutazione cominciarono a vendere allo scoperto la valuta inglese per una cifra pari a due anni di vendite, quasi un miliardo di sterline! Ma accadde l’esatto contrario, la sterlina si rivalutò e l’industria automobilistica se la dovette ricomprare con perdite gigantesche. La Daimler fu costretta a occultarle nella fusione con Chrysler. È sempre la stessa storia: i trend economici e finanziari vanno dalla parte opposta della propaganda politica e anche questa volta la sterlina si è rivalutata proprio per non essersi arresa alla sovranità di Bruxelles.


di Gerardo Coco