martedì 10 settembre 2019
Da “flat” a “sharp”. Da tassa piatta a cuneo mortale in grado di demolire la mitica (ma assai poco efficace, all’atto pratico) diga anti-immigrati. Ovvero: triste storia dell’Orso leghista finito fin troppo giovane in pellicceria, sede della premiata “Ditta” Botteghe Oscure & Eredi.
Si potrebbe dire che il suo destino sia stato segnato da due fondamentali eventi fatali, la cui responsabilità è da attribuire in toto ad altrettanto gravi, strategici e imperdonabili errori del “Capitano”, neo Alberto da Giussano, al secolo Matteo Salvini. Il primo riguarda il non aver previsto il triplo salto mortale di Renzi, reo di aver tradito la parola data agli elettori con solenni, precedenti impegni e dichiarazioni pubbliche, gridando poi all’anatema contro chiunque osasse parlare di un’alleanza contro natura tra Giglio Magico e Movimento 5 Stelle.
Il secondo attiene alla tardiva scoperta (a voto avvenuto!) del complotto europeo Pd-M5S, con il Movimento che aveva votato Ursula Von der Leyen risultando determinante con i suoi voti. Nome in codice dell’operazione: “Metodo Ursula”, che si ripeterà, come si è visto, in occasione del “ribaltone” Pd-M5S. Fu lì, come ha denunciato per primo questo giornale, che Matteo Salvini intuì tardivamente la trappola che cancellava il suo sogno di finanziare in deficit (50 miliardi!) la Flat Tax.
Come si vedrà ben presto, M5S grazie a quell’accordo scellerato con i poteri forti (che aveva spergiurato di combattere fino alla morte! Ma come si sa, portare a casa la pelle e mantenere le sedute sulle cadreghe d’oro governative vale infinitamente di più della parola data agli elettori!) otterrà forse qualche decimale di deficit in più per finanziare il suo fallimentare reddito di cittadinanza, o un suo succedaneo ricolorato Pd. Fu a quel punto che il “Capitano” decise di sparigliare le carte giocando l’azzardo delle elezioni anticipate, per poi, forte di una maggioranza parlamentare blindata, andare allo scontro con l’Europa. E mai calcolo fu sbagliato, perché a quel punto era chiaro che i sopravvissuti avrebbero fatto patti con il diavolo per mantenere il potere fino allora acquisito. Del resto, facevano temere il peggio per il Movimento i successi elettorali della Lega alle regionali e alle europee, e il crescere del gradimento popolare per le sue politiche muscolari finalizzate a contrastare l’immigrazione illegale, scelte che, secondo i suoi detrattori, Beppe Grillo buon ultimo, avevano incattivito e degradato il clima della convivenza sociale in Italia. Quale significato dare a questa alleanza tra post-comunisti e grillini? Ci chiarisce le idee il professor Carlo Invernizzi Accetti nel suo intervento sul Financial Times del 6 settembre, dal titolo: “Italy’s new experiment in populist technocracy” (“Il neo esperimento italiano di tecnopopulismo”).
C’è da dire, in effetti, che il Partito Democratico è da sempre schierato per la tecnocrazia. Sono stati i suoi tecnici di area, Ciampi, Dini e Prodi dal 1992 in poi a imprigionare l’Italia nella camicia di Nesso dei parametri Maastricht e nell’euro, per finire con il Governo Monti, tutto lacrime e sangue per rimettere a posto i conti pubblici, scassati “anche” dalle sinistre al governo! In Italia si assiste alla nascita di un ibrido paradossale tra populismo e tecnocrazia, che unisce l’appello anti-establishment e l’esigenza di un cambiamento politico radicale con il richiamo alla responsabilità istituzionale e alla competenza fiscale, il tutto orientato a rassicurare i partner internazionali e gli investitori globali […] Lungi dall’essere inconciliabili tra di loro, populismo e tecnocrazia rappresentano attualmente due facce della stessa medaglia. Infatti, come ha evidenziato Werner Müller, “il populismo sostiene che ci sia soltanto una sola e autentica volontà popolare, mentre la tecnocrazia afferma invece che esiste una sola soluzione politica corretta”. Pertanto, ambedue condividono un comune orientamento anti-politico: ciascuno di loro reclama per se di possedere una sorta di ‘verità’ che rende ridondante la politica parlamentare e tende a individuare come nemici i propri avversari politici” […].
“In un sistema in cui populismo e tecnocrazia sono le sole opzioni in campo, qualsiasi governo è costretto a presentarsi come una sorta di salvatore della patria per evitare la catastrofe imminente, dato che l’opposto di “una sola autentica volontà del popolo” e di “una sola corretta soluzione politica” non può che essere o l’errore o il dolo [...] Ma il tecnopopulismo non può essere comunque un antidoto al populismo nazionalista”. Sia detto a futura memoria…
di Maurizio Guaitoli