mercoledì 28 agosto 2019
Carlo Calenda fa sul serio e lascia il Pd. L’eurodeputato ha seguito, con malcelato disappunto, la lunga, e non ancora conclusa, trattativa tra i dem e il M5s. Ma non ha voluto attendere. Non rinnoverà la sua tessera. È quanto ha precisato il suo entourage dopo la diffusione della lettera di dimissioni dalla direzione nazionale, indirizzata al segretario Nicola Zingaretti e al presidente Paolo Gentiloni. Nel lungo testo l’eurodeputato annuncia di lasciare la carica dirigenziale ma “non la comunità’ del Pd.
“È una decisione – scrive Calenda – difficile e sofferta. Nell’ultimo anno e mezzo ho sentito profondamente l’appartenenza a un partito che, per quanto diviso e disorganizzato, consideravo l’ultimo baluardo del riformismo in Italia. Per questo mi sono iscritto al Pd all’indomani della sconfitta più pesante mai subita dal centrosinistra”.
L’europarlamentare continua: “Dal giorno della mia iscrizione ho chiarito che non sarei rimasto nel partito in caso di un accordo con il M5s. La ragione è semplice: penso che in democrazia si possano, e talvolta si debbano, fare accordi con chi ha idee diverse, ma mai con chi ha valori opposti. Questo è il caso del M5s. Le ragioni le abbiamo spiegate ai nostri elettori talmente tante volte che non vale la pena ripeterle qui”.
Per Calenda, il Pd non ha “nulla in comune con Grillo, Casaleggio e Di Maio. Ed è significativo il fatto che il negoziato non abbia neanche sfiorato i punti più controversi: dall’Ilva alla Tav, da Alitalia ai Navigator. Un programma nato su omissioni di comodo non è un programma, è una scusa. Eviterò di commentare la decisione di cedere al diktat del M5s su Conte. In fondo, esiste una perversa coerenza nella scelta di questo nome per guidare un governo nato dal trasformismo. Nelle ultime ore siamo arrivati persino ad accettare un giudizio sull’accordo di governo da una piattaforma digitale privata che abbiamo sempre giustamente considerato eversiva e antidemocratica”.
Nonostante i toni polemici, la conclusione di Calenda non fa pensare a un “addio”, ma ad un “arrivederci”.
“Lavorerò in Europa – scrive – nel gruppo SeD, mentre in Italia rafforzerò SiamoEuropei per dare una casa a chi vuole produrre idee concrete per una democrazia liberal-progressista adatta a tempi più duri e non ha paura del confronto con i sovranisti. Cercherò di mobilitare forze nuove. La mancanza di decoro generalizzata degli attori di questa crisi dimostra chiaramente che c’è l’urgenza di chiamare all’impegno una nuova classe dirigente. Le elezioni arriveranno. Le avete solo spinte più in là di qualche metro. Quando sarete pronti a lottare ci troveremo di nuovo dalla stessa parte”.
di Duilio Vivanti