martedì 27 agosto 2019
Siamo in attesa di sapere come verrà risolta la crisi di governo più strampalata e irresponsabile della storia di questo Paese (per opera del capitano leghista): un nuovo governo o il voto anticipato? La prima opzione viene sostenuta da quelle forze politiche che hanno paura di tornare al voto. La seconda, è richiesta a gran voce da tanti attivisti (con tanto di cartelli #elezionisubito nei social) e leader politici di altre forze di opposizione.
Tra le due tifoserie in campo, chi la spunterà?
Torniamo indietro di 17 mesi. Nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018, i risultati elettorali delle principali forze politiche sono stati i seguenti: M5S 32,37%; PD 18,81%; Lega 17,60%.
Dopo estenuanti trattative, il M5S e la Lega riuscirono a mettersi insieme, nonostante le stesse forze politiche fossero come l’acqua e l’olio.
Ora che il governo del “cambiamento” è venuto meno e si tenta, in questi giorni, di fare quello della “svolta” tra il M5S e il PD, da più parti si parla di una ipotesi di accordo di governo diverso da quello espresso dalla volontà popolare. Non è proprio così. L’Italia è una repubblica parlamentare. Se il governo viene sfiduciato, il Presidente della Repubblica può nominarne un altro (rispettando la prassi costituzionale) o, nel caso in cui non si trovino maggioranze parlamentari alternative, lo stesso ha il dovere di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni politiche. Punto.
Detto questo, l’eventuale accordo per un governo giallo-rosso (PD- M5S-LEU) sarebbe peggiore di quello raggiunto, a suo tempo, dalla cordata giallo-verde. Inciucio tra PD e M5S? Direi proprio di no. Si tratterebbe di un’alleanza costituita da forze politiche molto simili che si poggiano su solide basi culturali. In sostanza, il Paese sarà sempre più statalista, giustizialista, assistenzialista e oppressivo verso le imprese e i cittadini. Non c’è da meravigliarsi. La sinistra e i grillini continueranno a sforare il deficit per aumentare la spesa pubblica corrente, a tassare sempre di più le imprese e i cittadini (e non è scontato l’aumento dell’Iva), a irrigidire il mercato del lavoro e a sostenere l’ambientalismo ideologico senza sviluppo economico. E la proposta di riduzione del numero dei parlamentari portata avanti dai grillini (e sostenuta ipocritamente dal PD, dopo il suo precedente voto contrario nelle aule parlamentari)? Pura demagogia. Se prendiamo in considerazione il parametro della rappresentanza (il numero di parlamentari per 100.000 abitanti), l’Italia occupa il 24° posto nella graduatoria UE. Di che parliamo? Piuttosto, una manovra del genere metterebbe a rischio la tenuta della nostra democrazia parlamentare, trasformandola in quella dei “pochi”. Non si può stare tranquilli.
Per uscire dal declino economico, sociale e culturale, l’Italia non ha bisogno di capetti, di urlatori, di improvvisatori e di “pressapochisti”, bensì di una nuova classe politica preparata e con una grande visione politica, in grado di dare delle risposte complesse, ma credibili, a problemi specifici del nostro territorio, attraverso l’uso del linguaggio della verità. È il tempo di ricostruire una forza politica aperta, partecipata dal basso e guidata da tutte quelle personalità politiche e imprenditoriali “responsabili” provenienti dalla cultura liberale, dalla cultura popolare e riformista. Il lavoro, la persona e la comunità devono essere al centro del nuovo programma politico liberale. Altro che reddito di cittadinanza e decrescita felice. Vogliamo un’altra Italia. Vogliamo l’Italia che cresce.
di Donato Bonanni