Ossessionati dalla vittoria

martedì 19 febbraio 2019


Sir Winston Churchill diceva che “il politico diventa uomo di Stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni”.

Mai definizione fu meno indicata per descrivere lo scenario politico italiano anche e non solo in questa nuova Repubblica. Sono tutti ossessionati dalla guerra di posizione, dalla schermaglia che porta rendita, dalla minutaglia un tanto al chilo che funge da trampolino di lancio per la campagna elettorale più vicina se non addirittura per il sondaggio settimanale. Una “poraccitudine” che fa venire voglia di scrivere d’altro, di occuparsi di cose più edificanti tipo “Masterchef” o “Il Grande Fratello”, visto che si tratta pur sempre di reality, di intrattenimento di quart’ordine.

Prendete Silvio Berlusconi che è passato da “l’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti” al più algido “italiani, siete tutti fuori di testa. Come si fa a ragionare così? Svegliatevi, siete una vergogna!”, commentando il fatto che solo sei italiani su cento per ora lo votano ancora.

Non sono da meno i cosiddetti Democratici, quelli che hanno iniziato a tifare finanche per Emmanuel Macron e Guy Verhofstadt pur di screditare l’attuale maggioranza. Loro non hanno un progetto: sono anni che cianciano solo di immigrazione e rigurgiti fascisti reputando molto più semplice instillare paure inesistenti e buonismi pelosi piuttosto che proporre un modello di futuro che evidentemente non hanno in testa (non a caso puntualmente vengono bocciati non appena si cimentano con il Governo onde poi avere tutte le ricette quando sono all’opposizione).

Ma se Atene piange, Sparta non ride: abbiamo tutti ancora negli occhi l’ostinazione con la quale i Pentastar si stanno incartando su un reddito di cittadinanza che stenta a decollare. In principio fu l’annuncio a ridosso delle elezioni per poter fare man bassa di voti. Poi ci fu la stesura di un testo ampiamente discutibile redatto proprio in un momento in cui si avvertivano le prime crepe nei sondaggi. Infine ci fu la card che Luigi Di Maio presentò in pompa magna a ridosso delle elezioni amministrative e che non era altro se non la social card di Giulio Tremonti riesumata qualche decennio più tardi in fretta e furia a mo’ di spot.

Adesso, dopo la batosta elettorale, è in corso la svolta ecologista volta a rispolverare vecchi cavalli di battaglia come il no alla Tav. Tema affrontato per giunta in maniera puerile con quell’assurdo pappone che va sotto il nome di analisi costi-benefici come se la decisione relativa a un’opera pubblica fosse una decisione tecnica e non politica. In tal caso potremmo abolire Governo e Parlamento demandando le decisioni a un pool di commercialisti. Anche i grillini sono ossessionati dai sondaggi (e dai risultati elettorali) e per questo oscillano tra appiattimenti a destra e spostamenti a sinistra. Per costoro le idee si adattano agli umori del corpo elettorale un po’ come fa l’elastico delle mutande con la pancia.

Ma anche lo stesso Matteo Salvini (quello che ha un’opinione su tutto, da Sanremo alla Nutella passando per Satana) sbaglia (ad esempio) a festeggiare la vittoria in Abruzzo perché riduce tutto ad un problema di consenso: il presidente Marco Marsilio è seduto su una montagna di debiti sanitari (come quasi tutte le Regioni d’Italia) ed in più ha un cratere grande quanto la città di L’Aquila da dover gestire. C’è poco da festeggiare. C’è solo da aver paura. A meno che il fine non sia solo quello di prendere voti.


di Vito Massimano