Stato di fuga

giovedì 20 dicembre 2018


Il video del carabiniere che, pistola in pugno, affronta un gruppo di tifosi che lo colpiscono alla testa mettendolo in fuga ha fatto il giro del mondo. I coccodrilli di Stato e l’informazione alla perenne ricerca di una notizia da cavalcare, sono subito accorsi a definirlo un eroe, un servitore dello Stato che si è opposto con sangue freddo a una situazione difficile riuscendo a venirne fuori senza grosse conseguenze.

Secondo noi questa è una montatura, una falsificazione fatta apposta per tirar fuori un modello edificante, un maquillage buono per trasformare scene di ordinaria frustrazione e mortificazione delle nostre Forze dell’Ordine in una storia da Libro Cuore il cui lieto fine prevede che il gendarme baffone e con i pennacchi applichi il buon senso del padre di famiglia evitando lo scontro.

In realtà noi negli occhi del carabiniere ci abbiamo visto preoccupazione mista a mortificazione: immaginiamo che costui abbia pensato che già il sol fatto di estrarre la pistola lo stesse esponendo ad una serie di giustificazioni da dover fornire ai suoi superiori. Forse gli saranno passati in un attimo davanti agli occhi le vite rovinate di suoi commilitoni come Mario Placanica (colui che sparò a Carlo Giuliani, ndr) e deve aver pensato che forse sarebbe stato meglio soccombere o scappare ma non certo reagire sparando.

Sì, perché più che vittima di una banda di delinquenti inferociti, il povero militare immortalato nel video è vittima di uno Stato che ha ordinato ai suoi uomini di fuggire nonostante costoro avessero deciso di arruolarsi per diventare tutori dell’ordine pubblico. In realtà, a ritirarsi a gambe levate dopo essere stato oggetto di ingiurie e di una violenta sassaiola, non è il povero militare ma lo Stato Italiano che si è arreso alla violenza e non controlla più nulla: dai borseggiatori nelle metropolitane sovente impuniti, ai disperati tollerati anche se vivono di soprusi, passando per le consorterie criminali più organizzate che non faticano a muoversi indisturbate controllando (loro sì) il territorio.

Le nostre autorità hanno ordinato la ritirata di Stato legando le mani al proprio braccio armato nel nome di un garantismo incomprensibile verso quella che viene comunemente definita microcriminalità, quella strana tolleranza che porta l’irregolare a non essere espulso, il borseggiatore ad agire indisturbato (spesso minorenne e proveniente da accampamenti che tutti conoscono e su cui non si deve puntare il dito), il violento a farla franca dopo poco più che un rimbrotto.

In Italia ormai si privilegiano i reati ideologici e di opinione (razzismo, omofobia, fascismo) mentre si è depenalizzato di fatto il “reato da strada” perché fa più figo condannare Silvana De Mari per le sue nettamente non condivisibili invettive contro la comunità Lgbt piuttosto che prendere lo spacciatore e chiuderlo in galera senza sconti.

In Italia è molto più facile sbattere in galera l’innocente Ottaviano Del Turco (e dopo decenni dire che avevamo scherzato) piuttosto che punire in maniera esemplare il rapinatore verso cui c’è una tutela manco fosse un Panda o un’altra specie protetta: l’eccesso di difesa, l’offesa proporzionale alla minaccia, la perizia balistica per appurare che il colpo di pistola non sia stato sparato mentre fuggiva e sofismi vari ed eventuali.

In Italia si processa Francesco Storace per vilipendio al capo dello Stato ma si giustifica il no global che mette a ferro e fuoco le città. Lo Stato arretra e lascia dietro di sé i propri servitori senza un ordine ben preciso, senza fornire mezzi e coperture utili ad esercitare in tranquillità il proprio compito. Lo Stato poi, se per caso o per necessità tu fossi costretto ad adottare condotte borderline, ti scarica, ti processa e ti addita come mela marcia.

Ecco perché poi la gente vota populista. Ecco perché i Carabinieri scappano.


di Vito Massimano