lunedì 10 dicembre 2018
Il Centro Studi Investimenti Sociali (Censis) ha presentato il “Rapporto Italia 2018”. L’analisi descrive un Paese in movimento, in lenta trasformazione, ma al tempo stesso sfiduciato e preoccupato per il futuro. Purtroppo soltanto un italiano su cinque ha un atteggiamento positivo sul momento storico che sta vivendo, per il resto prevalgono rabbia, disorientamento e pessimismo. Un quadro difficile, non c’è che dire.
L’Italia è il Paese dell’Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori, solo il 23 per cento, contro una media Ue del 30 per cento. Il 96 per cento delle persone con un basso titolo di studio, e l’89 per cento di quelle a basso reddito, sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita. E ancora, il 56,3 per cento degli italiani dichiara come non sia vero il cambiamento sociale ed economico tanto auspicato. C’è un 63,6 per cento convinto che nessuno ne difenda interessi e identità, e quindi devono pensarci da soli. Quota che sale al 72 per cento tra chi possiede un basso titolo di studio e al 71,3 per cento tra chi può contare solo su redditi bassi. Difatti, il non tollerare gli altri si traduce in pregiudizi e atteggiamenti sospettosi. E così l’essere diverso diventa, nella percezione, un pericolo da cui proteggersi. E non è una questione di basse percentuali, perché il 69,7 per cento degli italiani non vorrebbe come vicini di casa i rom e il 69,4 per cento non vorrebbe a portata di occhio e udito persone con dipendenze da droga o alcol. Il 52 per cento è convinto che vengono prima gli immigrati, che diventa il 57 per cento tra le persone con redditi bassi.
Insomma, la società italiana vive una crisi culturalmente e socialmente importante, spesso alimentata del rancore, e confermata dalla rassegnazione. Lo dimostra anche l’idea secondo cui ogni spazio lasciato vuoto dalla dialettica politica sia riempito dal risentimento di chi non vede riconosciuto l’impegno e il lavoro. Certo, lo scenario è reso più complicato dalla situazione economica maturata negli ultimi tempi: “La ripartenza poi non c’è stata: è sopraggiunto un inciampo, un rabbuiarsi dell’orizzonte”, si legge nel rapporto. Con il “volgersi al negativo del clima di fiducia delle imprese, l’impoverimento del vigore della crescita, il rinforzarsi di vecchie insicurezze nella vita quotidiana e dal costituirsene di nuove, verrebbe da pensare che tutto arretra”. L’insicurezza, poi, sembra essere la parola chiave per descrive il mutamento culturale della nostra società, dove l’assistenza viene “interamente scaricata sulle famiglie e sul volontariato”, dove le istituzioni formative sono alle prese con “un vistoso calo di reputazione” e dove si accentua “il cedimento rovinoso della macchina burocratica pubblica e della digitalizzazione dell’azione amministrativa”.
Altra piaga, ahimè, è quella sull’occupazione in correlazione alla povertà. Nel 2017 il 12,4 per cento degli occupati nella classe d’età 20-29 anni era a rischio povertà. Si tratta di circa 330mila persone, in crescita rispetto al 2016 di circa 10mila unità. L’incidenza del rischio è risultata più accentuata tra gli occupati che svolgono un lavoro in forma autonoma o indipendente (18,1 per cento), rispetto a chi lavora alle dipendenze (11,2 per cento). Il rischio di povertà tra le persone con meno di 14 anni è aumentato di quasi 5 punti percentuali, passando dal 20,4 per cento al 25,1 per cento. Fra i 15 e i 24 anni si è osservata una incidenza ancora maggiore, con un incremento in termini percentuali di quasi 6 punti: un giovane su quattro è a rischio povertà, condizione questa che si riduce fra gli individui nella classe d’età 25-34 anni (poco sopra il 20 per cento) e soprattutto tra gli anziani con almeno 65 anni (17,1 per cento). Sono 163mila nella classe d’età 25-34 anni i sottoccupati (il 4 per cento degli occupati), pari al 23,5 per cento dei sottoccupati complessivi. E gli occupati in part time involontario sono 16 su 100 giovani occupati tra 25-34 anni, ovvero 675.000 persone, il 24,3 per cento di tutti gli occupati con part time involontario.
Il segretario generale del Censis, Giorgio De Rita, a conclusione della presentazione chiarisce anche un altro fenomeno in preoccupante ascesa, il sovranismo, definendolo “espressione psichica con cui noi tendiamo ad affermare quello che è il modello di sviluppo italiano. Cioè abbiamo la necessità, di fronte a un mondo che è sempre più globale, di dire ‘noi sappiamo stare nel mondo globale con un modello che è però tutto nostro’”.
di Mauro Mascia