mercoledì 1 agosto 2018
È sempre stata questa la tecnica dei radical chic, dei cattocomunisti, dei giullari di corte e di salotto: parlano di intolleranza e sottilmente incitano all’odio e alla rivalsa. Ipocriti. Lo fanno per partito preso e lo fanno contro chiunque non sia dei loro, contro chi per un motivo o per l’altro sia contrario, lo fanno con la spocchia diabolica di chi si sente migliore a prescindere. Ecco perché oggi si scagliano su Matteo Salvini, in passato su Silvio Berlusconi, ancora prima lo fecero con Bettino Craxi. È tipico della loro falsità, citano la libertà ma la negano, parlano di pluralismo ma applaudivano i carri di Budapest, allertano al pericolo democratico ma usano le magliette di Mao oppure di Fidel Castro. Insomma, quando arrivano all’ultima sponda fanno così e lanciano gli appelli contro il pericolo fascista, totalitario, razzista o quant’altro di peggio. A leggere la storia dei cattocomunisti, quella delle due ipocrisie unite, ci si accorge che non sono mai cambiati, gli uni dall’anno zero e dall’inizio della Chiesa, gli altri più o meno da Marx in giù.
Del resto basterebbe leggere Lorenzo Valla e la falsa donazione di Costantino, ripassare le vergogne di tanti papi romani, gli intrighi delle curie, gli eccidi dei crociati perché Dio lo vuole, l’Inquisizione e Torquemada per farsene una idea. Per non parlare del voto di castità, dell’istituto della confessione usato come arma di ricatto, degli scandali sessuali, dei preti pedofili, di Marcinkus, di Sindona e della Vatican connection; insomma, la sintesi del Vangelo e del buon pastore…
Dall’altra parte, sul versante comunista, sarebbe sufficiente ricordare le persecuzioni razziali di Stalin come quelle seppure minori di Kruscev e poi Breznev, insomma c’è voluto Gorbaciov per avere un minimo di “glasnost”. Eppure i figliocci di Togliatti, che con Stalin andava sottobraccio, hanno sempre applaudito con abbracci e triplo bacio, si sono fatti sostenere lautamente, mandavano i figli a studiare a Mosca, parlavano di Russia come l’eldorado della giustizia sociale e della democrazia. Come se non bastasse, molti di loro che erano fascisti sul serio, appena è nata la Repubblica sono diventati comunisti nei salotti e pure in Parlamento. Insomma, tutto normale, acqua fresca come la storia dei “compagni che sbagliavano” e dei “sedicenti marxisti” nel periodo brigatista. Per loro predicare con l’eskimo, per cambiarsi subito dopo indossando la vigogna oppure il cachemire, era normale come normale era aizzare all’odio sociale contro la ricchezza e il mercato.
Era normale citare il pluralismo e applaudire Castro, il maresciallo Tito, i soviet, Mao e la forza della democrazia comunista. Eppure loro, quelli dei salotti e della riva gauche, del primato della sinistra e della libertà, non ci hanno mai spiegato perché hanno dovuto cambiare nome, simbolo e bandiera, perché hanno scoperto il mercato e la concorrenza, perché la proprietà privata è diventata un bene. Non ci hanno mai spiegato dei collegamenti veri ai tempi dell’Unione Sovietica, dei finanziamenti e delle cooperative e come mai l’America del K fosse diventata quella della C.
Ecco perché parliamo dell’unione delle ipocrisie, ecco perché i cattocomunisti lanciano appelli sul pericolo democratico, fascista e totalitario della Lega e di tutti quelli che non stanno con loro.
Matteo Salvini non è mai stato in cima ai nostri pensieri, anzi volendo rileggerci si troverebbero critiche e contrasti, a volte forti e senza sconti, ma parlare di pericolo fascista, xenofobo e democratico è grottesco e pericoloso. A creare un clima infame basta poco e lo sappiamo, la tolleranza parte sempre dalla reciprocità e dal rispetto altrui, oltreché dall’onestà intellettuale e questa nostra Repubblica di “notti” ne ha già passate troppe.
di Alfredo Mosca