Giustizia, Bonafede e la riforma ossimoro

venerdì 27 luglio 2018


L’obiettivo del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è tanto semplice quanto cinico: il minimo sindacale è far scadere la delega governativa sull’ordinamento carcerario. Con buona pace dell’unica riforma quasi decente incardinata dal suo predecessore Andrea Orlando. Mercé anche gli stati generali della giustizia penale e i numerosi suggerimenti recepiti. Tra cui quelli preziosissimi di Rita Bernardini e del Partito radicale transnazionale che della vivibilità carceraria secondo Costituzione da tempo ha fatto una battaglia esistenziale oltre che politica. Meglio ancora sarebbe, andando contra legem, trasformare quel disegno di legge – etichettato secondo la bugiarda propaganda di campagna elettorale come “svuota carceri” – in senso diametralmente opposto a quello inteso dalla delega. Anche se poi la mannaia della Consulta sarebbe quasi una certezza. Così il ministro, che molti scherzando definiscono “dal cognome che è un ossimoro”, una cosa che non sta in cielo né in terra l’ha già potuta mandare avanti (grazie a una riscrittura in tal senso fatta dallo stesso ministro Orlando poco prima di lasciare via Arenula) nei nuovi decreti attuativi che finiranno presto in aula: estendere il 4 bis della Legge Gozzini, che include  il famigerato articolo 41 bis, anche ai minori. Cosa che già un anno fa la Consulta aveva escluso tassativamente in nome della rieducazione prevista a maggior ragione per i minorenni dall’articolo 27 della Costituzione.

Più precisamente con la sentenza numero 90 del 2017 che aveva dichiarato illegittima la cosiddetta “ostativa” alla sospensione dell’ordine di carcerazione nei confronti dei minorenni condannati per alcuni gravi delitti. Fare rientrare dalla finestra ciò che la Corte costituzionale ha fatto uscire dalla porta sembra però una specialità della casa grillina appena incistatasi nel delicato ministero di via Arenula. Così come, all’insegna dell’“intercettateci tutti”, sgomenta l’ipotesi di eliminare tutta la riforma, sia pure imperfetta, voluta dal Partito Democratico sulle captazioni telefoniche e ambientali. Riforma che però, al netto di alcune fesserie, riportava un po’ di privacy nelle telefonate personali di indagati e coinvolti. Che invece pubblicamente Bonafede ha rivendicato come soggetti passivi di uno “sputtanamento” mediatico senza limiti. In quella riforma in realtà, i magistrati e gli avvocati avevano lamentato un’unica idiozia: quella di demandare alla polizia giudiziaria la pre-selezione dei nastri da mettere nel fascicolo della pubblica accusa, senza la possibilità né per il pm né per gli avvocati degli indagati di metterci becco. Cosa che costituzionalmente comunque non reggerebbe. Sia come sia, una previsione si può azzardare: il 3 agosto scade la delega tout court della riforma dell’ordinamento penitenziario e se, come appare più che possibile, alla fine la montagna non partorirà neanche il topolino, il problema verrà risolto tagliando con la spada giustizialista dei Cinque Stelle il nodo gordiano.


di Dimitri Buffa