Uno e trio

lunedì 25 giugno 2018


Un aforisma, un commento – “Il trio, in musica, è a volte affidato a un flauto, un oboe e un fagotto. Il flauto recita e va in alto, l’oboe insegue e cerca vanamente di imporsi, il fagotto sussulta e brontola. Il risultato, se non c’è accordo, è il disastro più completo.

Non c’è nulla di artistico, naturalmente, nel trio Salvini-Di Maio-Conte, anche se è evidente che la musica è, per ora, nelle mani di Matteo Salvini. Semmai c’è qualcosa di drammatico, nel senso della tragedia greca, ivi compresa l’attitudine dei personaggi a presentarsi con la propria autonoma personalità. Per questo il Governo attuale assomiglia più a uno spettacolo teatrale, per il quale il prezzo di ingresso potrebbe profilarsi peraltro molto salato per tutti noi, che non a un normale gruppo istituzionale che cerca di dirigere al meglio le sorti del Paese.

Il tema centrale è il decisionismo, forse non nel senso stretto stabilito nel secolo scorso da Carl Schmitt, ma certamente con qualche analogia con i “fatti compiuti” che ne derivano.

Salvini è certamente il personaggio centrale della tragedia. Egli rappresenta pienamente l’uomo del bar dello sport che, finalmente al potere, fa quanto in quel bar tutti dicevano che avrebbero voluto fare: bloccare i migranti, istituire la legittima difesa costi quel che costi, perfino porsi contro l’obbligatorietà dei vaccini. Ed è sicuro che, pompando aria nel flauto, qualcosa si ottiene, quanto meno l’aperta denuncia della vile condotta di questo o quel Paese europeo ben contento di lasciare a noi italiani la gatta da pelare dell’immigrazione, diciamo così, selvaggia.

Per il resto, egli continua, come tutti gli osservatori rilevano, a fare campagna elettorale ma, a quanto pare, con la dura, anzi durissima incoscienza di chi vuol davvero fare ciò che promette indipendentemente dalla realtà e dalla valutazione altrui non meno legittima, e spesso più competente, della sua.

Quanto a Luigi Di Maio, povero oboe con una parte ormai secondaria, assistiamo a una serie miserevole di vagiti stonati, senza più alcun pathos o, meglio, caratterizzati da un’espressione aleatoria, alla ricerca spasmodica, senza esito, di spazi interpretativi degni di nota. Egli si muove infatti fra riformulazioni cervellotiche del “reddito di cittadinanza” e ambizioni protagonistiche che riesce a concretizzare solamente in termini di annunciate proibizioni, come quella per contrastare il gioco d’azzardo attraverso cui rinsaldare, senza speranza, l’immagine dei 5 Stelle come movimento dei “migliori”.

C’è poi il Giuseppe Conte, figura che sarebbe il caso di definire sfuggente se non fosse assente per definizione. Un vero fagotto che segue pedissequamente le battute, come non sapesse di che musica si tratta, senza infamia e senza lode. Borbotta, finge di arrabbiarsi ma non si sa con chi dato che il flauto prosegue senza indugi a emettere suoni dominanti ancorché privi di sostanza estetica. Un trio non ha direttori d’orchestra, ma un impresario normalmente ci vuole. Il trio, dunque, si trasforma in Tria, il ministro dell’Economia il cui cognome bene si coniuga con il gruppo dei drammatici in questione. Senza di lui la politica italiana sarebbe ridotta a una diatriba da un lato comica e dall’altro, appunto, tragica. Ma nel senso contemporaneo e non in quello dei dotti che “sanno” di cultura greca.

Sullo sfondo, il pubblico. Ammaliato dagli acuti guizzi del flauto, tenuto malamente a bada dai gorgheggi stentorei dell’oboe e probabilmente annoiato dagli inutili e goffi salti d’ottava del fagotto, forse comincerà a chiedersi: vuoi vedere che abbiamo sbagliato teatro?


di Massimo Negrotti