Mattarella e la volpe nel pollaio

venerdì 1 giugno 2018


A spuntarla, ammesso che di vittoria si possa parlare, è il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ottiene quel che voleva: un governo politico formato da Movimento Cinque Stelle e Lega con ministri a lui graditi (non solo l’estromissione del professor Paolo Savona dal ministero dell’Economia ma con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia relegati a rango di parenti reietti). Tutti gli altri hanno perso. Chi la faccia, chi i punti, chi l’identità. Così i cronisti possono, a ragione, parlare di “capolavoro” del capo dello Stato. Il danno invece è tutto degli italiani, che avranno qualcuno che alzerà la voce a Bruxelles senza essere in grado di farsi ascoltare. Come sempre e come l’Unione europea vuole.

Sergio Mattarella ottiene anche di intitolare il Presidente della Repubblica del potere di nomina dei ministri; da questo momento formalmente capace di opporre, con successo, il veto per ragioni diverse dalla singola capacità professionale e/o caratura etica del candidato, ossia per ragioni politiche fondate sia sulle sue convinzioni, sia del progetto politico della maggioranza che intendeva riferirsi al designato per perseguirlo.

Luigi Di Maio esce dalla vicenda come un quaquaraquà starnazzante, lesto a riparare sotto l’ombrello del capo dello Stato pur di far nascere il governo di cui è azionista di riferimento. Dopo aver ridotto il suo ingombrante alleato a miti consigli, tanto da accontentarsi di un dicastero minore (salvo a vederne il portafoglio). Di Maio ha passato un brutto quarto d’ora quando Salvini, col suo silenzio, ha trasformato in graticola la richiesta di impeachment del capo dello Stato. “Ingrato”, avrà pensato, visto che lo aveva fatto per difendere un candidato ministro di fede e scelta leghista. Così ha sparigliato. Ha porto il ramoscello d’ulivo a Mattarella (aprendo al declassamento di Savona) e messo Salvini nella condizione di piegare la testa (per non apparire il bambino capriccioso che minaccia di portar via il pallone se non può essere lui a decidere chi gioca).

Quanto al leader leghista, da volpe padrona del pollaio, si è svegliato, nel pollaio che voleva devastare, senza galline da spennare. Dopo lo smacco, ha sicuramente perso il vizio (accontentandosi di uno strapuntino per il professor Savona) e ora rischia di perdere il pelo (imbarcandosi in un governo politico che subisce).

Matteo la Volpe esce malconcio dalla pre-crisi del suo pre-governo e dovrà sudare per ottenere alle prossime elezioni (tra chissà quanto) quell’imbarcata di voti che potrebbe perdere per strada. Per mancanza di coraggio e coerenza. Perché gli italiani sono volubili e non amano chi fa solo la voce grossa per ottenere il rispetto dei loro interessi. Da troppo tempo gli italiani sono alla frutta: per trasporti scadenti, sanità inadeguata, sicurezza ridotta, giustizia (sociale e giudiziaria) latitante e una Pubblica Amministrazione che strangola.

Il contratto di governo dei giallo-verdi si presenta senza copertura finanziarie e ora, privo di Savona all’Economia, anche senza capacità di incidere in Europa. Come ministro della Ue Paolo Savona parteciperà a tanti incontri, tante riunioni; farà e riceverà centinaia di telefonate ma non siederà mai ai tavoli dove si decide. Sarà ricevuto da chiunque lui chieda di incontrare, salvo poi doversi affidare (e fidare) dei ministri dell’Economia e degli Esteri (di fede mattarelliana). Gli unici competenti a parlare per l’Italia oltre al Presidente del Consiglio (di fede M5S).

Tutte barriere frapposte tra Savona e la sua possibilità di essere preso sul serio dalle cancellerie dell’Unione. Di Maio incassa, con l’assenso del capo dello Stato, la nomina di un Presidente del Consiglio (di cui nessuno aveva mai sentito parlare fino a pochi giorni fa) in cambio di due ministri, degli Esteri e dell’Economia (Moavero e Tria), espressione di quegli Uomini Erasmo che vincono ancora, riducendo in cattività Matteo la Volpe, ma anche Di Maio il Gatto (che se ne accorgerà). Speriamo tanto di sbagliare.

 

 


di Flavio de Luca