mercoledì 23 maggio 2018
A prescindere se Giuseppe Conte sarà incaricato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, o dal fatto se un nuovo governo giallo-verde prenda il via, si può realizzare una riflessione sullo stato del potere politico in Italia e, più in generale, nel nostro tempo. Dopo il 4 marzo, da più parti si dice che stiamo entrando, o lo siamo già, in una nuova era in cui forze politiche che finora non sono state centrali hanno l'occasione di governare. Vero. Si dice che le forze politiche hanno fatto una campagna elettorale di tipo maggioritario, ma con una legge elettorale per due terzi proporzionale, basando quindi la consultazione sulla logica del “voto in più” mentre sarebbe stato più opportuno parlare di accordi. Vero. E ancora: si sta delineando un nuovo metodo del fare politica, non più fondato sul demodé rapporto faccia a faccia, o del leader con la piazza, ma realizzato a suon di post e dibattiti sui social network – una politica 4.0, potremmo dire? Può darsi.
Eppure un dato interessante accompagna queste riflessioni: negli ultimi tre mesi, il governo di Paolo Gentiloni è stato mantenuto in carica, secondo la prassi costituzionale, solo per “il disbrigo degli affari correnti”. All'occhio dell’osservatore esterno, gli ultimi tre mesi sono stati un periodo in cui il potere esecutivo, non supportato dalla fiducia del nuovo Parlamento, ma nemmeno incalzato dalle linee di programma di un partito di riferimento, si è sublimato in un potere di fatto neutrale, la cui origine proviene sì da una parte politica, ma che al momento si limita a un’esperienza, necessariamente, super partes.
Quello in carica è alla lettera un esecutivo degli affari correnti – quelli attuali, che corrono – e che di fronte ai fatti politici più rilevanti si confronta con le forze politiche che oggi hanno la maggioranza in Parlamento. Un governo non di parte che potremmo definire come governo della postpolitica. Cosa significa ciò? Come sappiamo, la politica nasce nell'antica Grecia come quell'arte, o tecnica (concetti che per i Greci erano simili) per governare le interazioni tra le persone, quando le persone si trovano in società e non più da sole o in famiglia. La politica emana, e si nutre allo stesso tempo, del potere latente nella massa, quasi a voler dare una dimostrazione di tipo sociale alla nota equazione di Einstein, che identifica energia e massa.
Un governo non di parte, ma che disbriga solo gli affari correnti, e che amministra la cosa pubblica al meglio delle sue capacità, è quel governo che non è dalla parte di nessuno, ma che allo stesso tempo è al fianco di tutti e di ciascuno. Senza evocare le teorie dello stato minimo di Robert Nozick o di von Hayek, quanto accaduto in Italia ci fa interrogare sulla condizione del potere politico: e se questo stia cambiando, diventando un potere amministrativo, o anche disarmato e neutrale, il cui potere di parte – quello della logica schmittiana amico-nemico, per intendersi – è stato disinnescato. Che sia questo un nuovo paradigma? Una politica che si limita all’amministrazione degli affari correnti, che tutela i diritti, difende la libertà, promuove le opportunità e, ovviamente, si preoccupa dell’educazione dei nuovi cittadini? Dopo la neo-politica fatta in rete, si può parlare adesso di una postpolitica non più di parte, perché dalla parte dei cittadini. Utopia? Probabilmente sì, e in fondo tre mesi di governo sono poca cosa di fronte al grande flusso della storia. Eppure in Europa stiamo assistendo a situazioni di questo genere già da qualche tempo, come in Spagna di Mariano Rajoy o più recentemente in Germania, dove ci sono voluti sei mesi prima di trovare l‘accordo che ha aperto la strada al quarto governo di Angela Merkel.
Naturalmente, in questa trasformazione ha un peso quello che viene chiamato populismo, o anti-politica, ma che in fondo dietro l’anti-politica si nasconda quella voglia dei cittadini di avere governi che non avvantaggiano più le parti, ma che siano dalla parte di tutti e di ciascuno, è un dubbio legittimo che la politica, o postpolitica o neopolitica che dir si voglia, dovrebbe porsi.
di Mario Sammarone