Gli sbiaditi

martedì 8 maggio 2018


Dove eravamo rimasti? Allora, Luigi Di Maio aveva vinto le elezioni e pretendeva di fare il Premier (in Italia non esiste la premiership ma non ditelo a Giggino) senza avere la maggioranza in Parlamento. Dettaglio al quale intendeva sopperire cooptando la Lega o in alternativa il Partito Democratico derenzizzato. I due sudditi (lega o in alternativa Pd), per essere ammessi alla corte del principe “Di Maio de’ grillini vien da Pomigliano” dovevano liberarsi dei personaggi cosiddetti impresentabili e giurare fedeltà con una mano sul cuore e l’altra sul “babà reale” simbolo della casata Di Maio, accettando che il capo supremo del Governo fosse lui, che i ministri fossero sua emanazione diretta e che il programma fosse quello Pentastar direttamente suggerito da Dio a Casaleggio e scolpito sulle tavole di Rousseau.

Stranamente nessuno si è inginocchiato di fronte a Giggino provocando la sua ira e facendolo gridare al tradimento della volontà popolare perché chi non riconosce che il candidato Premier grillino è Dio in terra come Serse di Persia e non gli fornisce i voti per regnare, è null’altro se non un traditore, un volgare usurpatore e un congiurato. Capita spesso però che i deliri di onnipotenza di un balordo vengano utilizzati dai furbi che, fingendo di prenderlo sul serio, cavalcano certe baggianate provando a perseguire disegni inconfessabili. Questa volta il disegno inconfessabile si chiama Governo neutro, una roba beige tanto quanto lo è lo stile di colui che lo ha proposto e che si pone come obiettivo quello di condurre il Paese a nuove elezioni non prima di aver fatto le solite cose vitali per le sorti del Paese (Iva, Def e manovre varie). Poi ovviamente alle fantomatiche cose essenziali se ne aggiungeranno sicuramente altre (lo spread, le fibrillazioni internazionali) e il brodo si allungherà costringendo gli italiani a doversi trovare di fronte a un nuovo Mario Monti. Ma quand’anche il Governo beige dovesse durare fino a novembre, a chi gioverebbe una simile manovra?

Gioverebbe sicuramente al Partito Democratico – che infatti si è subito dimostrato disponibile a sostenerlo – perché gli consentirebbe di tornare in gioco potendo dimostrare senso di responsabilità verso l’elettorato e di prendere anche un congruo periodo di tempo per risolvere i propri problemi interni e riorganizzarsi. E gioverebbe anche alla strategia accarezzata da più di qualcuno secondo la quale a Di Maio e Salvini serve solo un po’ di tempo in più per convolare a giuste nozze.

Insomma, come a voler dire: io vi tengo la legislatura in caldo. Se Matteo Salvini riesce a rompere con Silvio Berlusconi tanto meglio (si ottiene il duplice beneficio di rompere il centrodestra e creare un fronte gialloverde destinato a fallire), altrimenti si va a votare dopo una decantazione tale da fiaccare la volata di chi oggi – sondaggi alla mano – vede crescere il proprio consenso. Se il disegno non fosse questo e se il gioco dilatorio non avesse fini reconditi, che senso avrebbe portare il Paese ad elezioni in autunno con la stessa legge elettorale rischiando uno stallo ancor più grave?

Altra cosa sarebbe stata dire al Parlamento: avete due mesi di tempo per fare una nuova legge elettorale, nel frattempo al governo ci pensa il presidente e le Camere saranno sciolte non appena la Legge elettorale sarà da voi varata. Invece il discorso ha avuto un filo logico diverso: “può essere utile dare altro tempo ai partiti per trovare un accordo”, ha detto Sergio Mattarella. Se quindi “si formasse una maggioranza parlamentare, questo governo di garanzia si dimetterebbe”, e se invece una maggioranza non si dovesse trovare, “il governo di garanzia si dimetterebbe comunque a dicembre dopo la manovra di bilancio”.

La Var dimostra che il Governo neutro non è un fallo involontario, ma è un fallo tattico. Se il capo dello Stato si mette a fare come l’arbitro Orsato in Juventus-Inter, il Paese ne uscirà con le ossa rotte.


di Vito Massimano