Referendum Veneto: imprenditori divisi davanti al voto

lunedì 16 ottobre 2017


C’è chi dichiara il suo “no” senza mezze misure, chi lancia il guanto della sfida a Roma e chi sceglie il low profile, non certo per indecisione: la linea del Piave tracciata dal governatore Luca Zaia con il referendum sull’autonomia del Veneto del 22 ottobre divide gli imprenditori della regione. A pochi giorni dalle urne gli schieramenti in campo sembrano definiti. Alcuni dei big hanno chiuso la porta in faccia senza appello al quesito referendario. Il primo è stato Luciano Benetton: “Andare a votare? Assolutamente no. Autonomia di cosa? Mi sembra una stupidaggine”. Lo ha seguito a ruota Matteo Marzotto. “Ragionare in modo localistico e di campanilismo non ci porta da nessuna parte - rileva - e lo dico con il rispetto per quello straordinario mosaico di culture e tradizioni di cui è fatta l’Italia. Da cittadino mi pare che il quesito sia troppo generico, non spiega nel merito di che tipo di autonomia si tratta, quali funzioni si vogliono ottenere e con quali risorse: genera confusione e può incentivare posizioni più estreme, facilitando logiche di divisione”. Sposa invece la linea di una maggiore autonomia Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto, per il quale il tema “è estremamente sentito nei diversi settori della società, non solo per la presenza delle vicine regioni a statuto speciale ma anche perché il Veneto, come tutte le regioni virtuose, ritiene corretto poter disporre di una parte significativa del proprio Pil per competere ad armi pari sui mercati internazionali e far fronte alla scia della crisi”. Sì convinto anche da parte di Confcommercio e Cgia.

“Mi auguro che alle urne ci sia una presenza copiosa - dice Paolo Zabeo, responsabile del centro studi degli Artigiani di Mestre - perché mi sembra che la campagna referendaria sia ancora un po’ freddina, non è stato fatto un battage sufficiente o meglio la Lega Nord l’ha fatto ma altri partiti, che sulla carta appoggiano il sì, non si sono spesi a sufficienza”. La credibilità della richiesta di allentare i lacci romani si gioca, per molti, proprio sui numeri ai seggi. Il più ottimista è Arrigo Cipriani: “Sono certo che ci sarà una buona affluenza perché tutti concordano che c’è bisogno di far sentire di più la voce della gente. Vogliamo tenere un po’ del nostro reddito in casa, cosa che consentirebbe alle aziende di diminuire i costi e le tasse, guadagnandoci in competitività internazionale”. Il quorum per il referendum veneto, nessuno lo nasconde, potrebbe complicare le cose. “Se vince il sì con il 50,05% per cento e gli altri non vanno a votare - sottolinea Massimo Zanon, presidente di Confcommercio Veneto - il segnale a Roma non sarà quello voluto”. Non diserterà l’appuntamento delle urne Riccardo Donadon, presidente di H-Farm, l’incubatore di start up trevigiano. “È una carta importante - rileva - per ottenere una maggiore autonomia gestionale. Ci scontriamo ogni giorno con l’impossibilità ad agire: far funzionare meglio la macchina può essere un punto di vantaggio anche in termini di competitività”. Per Fabio Franceschi, di Grafica Veneta, “il referendum non è una cattiva idea, anche se non è chiudendosi in un piccolo feudo che si risolvono i problemi di corruzione ed evasione che caratterizzano il nostro Paese. Il cruccio - osserva - non è tanto la questione del residuo fiscale, ma le ruberie diffuse dei furbetti del quartierino”. Il più ottimista di tutti è Bruno Vianello, della Texa. “Il raggiungimento del quorum ci sarà di sicuro, io scommetto su un buon risultato - conclude - porteremo a casa il risultato, piccolo o grande che sia”.


di Redazione