martedì 5 settembre 2017
Le vicende riferite, negli ultimi mesi, dalle cronache - a proposito del funzionamento dei meccanismi di scelta dei contraenti di amministrazioni pubbliche che da quelli acquisiscano servizi e forniture - ci spingono ad avviare un’indagine che finalmente consenta di capire le ragioni del malfunzionamento dei vari sistemi di aggiudicazione delle relative commesse, rispetto ai quali il nuovo Codice dei contratti (D.lgs 18 aprile 2016 n. 50) dovrebbe porsi come il principale strumento in mano all’Autorità Anticorruzione per porre fine ai fenomeni distorsivi sui quali anche la magistratura penale sta indagando.
Lo strepitus prodotto da tali vicende, nonostante il loro contenuto altamente tecnico, ha d’altronde attirato l’attenzione di vari strati della popolazione a prescindere dalle scarse conoscenze dei più rispetto a questa porzione del diritto amministrativo che assume sempre maggiore importanza per l’equilibrio delle finanze pubbliche.
Così, espressioni come “Centrale di committenza”, “Raggruppamento d’imprese”, “offerta anomala” e altre sono ormai entrate nel linguaggio comune di coloro che discutono - prima ancora che di diritto - di economia, di politica e di pubblica morale.
Senza dunque rinunciare alla vocazione garantista che a suo tempo spinse Arturo Diaconale alla creazione del Tribunale Dreyfus, l’Alta Corte, che ne è il braccio operativo, ritiene che sussistano tutte le condizioni per avviare un’iniziativa finalizzata non solo a comprendere come sia stato possibile giungere ai livelli distorsivi segnalati dai media, ma soprattutto ad evitare, per il futuro, il reiterarsi di accadimenti consimili.
Per condurre la propria indagine, l’Alta Corte intende individuare ed analizzare i due elementi fondamentali che sono alla base delle aggiudicazioni più contestate: il primo di tali elementi consisterà nell’indagare le ragioni per le quali ciascuno dei relativi bandi è stato concepito privilegiando determinati fattori di valutazione rispetto ad altri; il secondo elemento sarà invece quello - previsto dall’articolo 83 ultimo comma del menzionato Codice - relativo alle modalità di calcolo utilizzate da ciascuna stazione appaltante per valutare il c.d. Rating d’impresa, vale a dire la correttezza di comportamento degli operatori economici aggiudicatari delle commesse successivamente cadute sotto la lente d’ingrandimento delle diverse giurisdizioni intervenute a censurare determinati comportamenti degli operatori stessi.
L’Alta Corte conosce - ovviamente - i limiti dei propri poteri di indagine, ma ritiene nondimeno di poter attingere ai materiali necessari per raggiungere i propri obiettivi, avvalendosi della libertà di “accesso civico” che il D.lgs 14 marzo 2013 n.33 attribuisce, fra gli altri, ai portatori di interessi diffusi.
Questa ulteriore e più evoluta forma di attingimento agli arcana può servire infatti a realizzare quel controllo di opinione pubblica in base al quale il legislatore nazionale è stato costretto, dalla Carta europea delle Libertà fondamentali, ad allargare le maglie di quel diritto di accesso originariamente previsto - dall’articolo 25 della l. 7 agosto 1990 n. 241 - solamente in favore dei titolari dei soli interessi finalizzati ad ottenere gli atti e i documenti necessari alla tutela di situazioni giuridiche strettamente individuali.
Si potranno così, innanzitutto, valutare gli eventuali comportamenti predatori di quegli operatori economici che, pur di aggiudicarsi una determinata categoria di appalti, non hanno esitato ad adottare tecniche di turbativa della libertà degli incanti, avendo solamente cura di non lasciar traccia degli accordi collusivi in precedenza raggiunti con altri possibili aspiranti ad aggiudicazioni seriali e predeterminate: magari addirittura ottenute con la connivenza di infedeli funzionari della relativa stazione appaltante.
Esistono d’altronde diversi indici di riconoscibilità di tali accordi che - pur teoricamente prospettabili - nessuna amministrazione aggiudicatrice potrà mai nel concreto invocare per escludere una o più imprese dai confronti concorrenziali che le hanno viste vittoriose e la ragione di una simile difficoltà è appunto rinvenibile nella circostanza per la quale solo molti mesi dopo l’aggiudicazione di determinate gare alcuni dei contratti sottoscritti sono stati ceduti, non nella loro singolarità (perché ciò è notoriamente vietato), ma unitamente all’azienda (o a rami di quella) entro cui quei contratti erano stati successivamente incorporati.
Si tratta di comportamenti tenuti dagli aggiudicatari in evidente frode alla legge, sui quali sarebbero necessarie maggiori puntualizzazioni anche nelle linee guida dell’Anac; ma il Tribunale Dreyfus e i suoi organi non hanno alcuna ambizione di sostituirsi ai compiti delle pubbliche autorità: più semplicemente vogliono rendere edotti coloro che ne seguono da tempo i lavori dell’evoluzione delle problematiche verso le quali il Tribunale stesso rivolge la propria attenzione.
I componenti dell’Alta Corte andranno così ad analizzare le dinamiche secondo le quali determinati bandi e capitolati di gara prescelgono - fra varie opzioni possibili – sempre identici elementi da utilizzare per comporre le offerte dei partecipanti e segnaleranno le frequenze con cui identiche imprese siano riuscite, sempre e comunque, ad aggiudicarsi i medesimi lotti di cui ogni gara si compone.
Sia ben chiaro che queste indagini non si concluderanno con alcun giudizio negativo verso le imprese che dovessero risultare a vario titolo coinvolte in simili pratiche, perché mai ci stancheremo di rivendicare in ogni settore della vita pubblica il valore del garantismo quale primo metodo di approccio alle problematiche che attirano la nostra attenzione.
Varrà però la pena di segnalare la reiterazione di determinate prassi che fino ad oggi sono sfuggite a qualunque controllo e le stazioni appaltanti non potranno fare a meno di tener conto delle possibili anomalie che verranno segnalate in esito delle suddette indagini.
Il lavoro da compiere può sembrare immane, ma focalizzando l’attenzione sugli appalti più significativi, almeno dal punto di vista economico, si può di molto ridurre la mole di documenti da acquisire ed esaminare. Se il tentativo avrà successo, il Tribunale Dreyfus potrà fregiarsene con orgoglio; se invece non dovesse averlo, altre e più robuste istituzioni ne potranno raccogliere i frutti, proseguendo un’opera di moralizzazione della spesa pubblica ormai divenuta improcrastinabile.
di Federico Tedeschini