Una Guantanamo per i Foreign Fighters

mercoledì 30 agosto 2017


Dichiarare guerra all’Isis ha senso? Dipende. Dal punto di vista convenzionale sarebbe un problema serio, visto che non si tratta di un vero e proprio Stato con confini definiti e legalmente riconosciuto dalla comunità internazionale. Il famoso Califfato è, infatti, al più una pia intenzione e di sicuro una trovata mediatica geniale per risollevare le sorti di un Islam umiliato e oscurato da un Occidente vincente e secolarizzato. Tuttavia, partendo dalla considerazione che si tratta di un comune, irriducibile e mortale nemico del mondo libero, una dichiarazione formale di guerra all’Isis avrebbe alcuni vantaggi. Vediamo quali, partendo da un esempio concreto. A seguito della guerra in Afghanistan, i prigionieri talebani vennero trasferiti e internati nella base americana di Guantanamo, situata sulla costa cubana, per essere interrogati in tutta sicurezza. Ai detenuti non venne riconosciuto lo status di “Prigionieri di guerra” (Pow, nell’acronimo inglese), previsto dalla Convenzione di Ginevra, per il semplice fatto che venivano a mancare i presupposti formali.

L’Italia si trovò a dovere affrontare un caso analogo, all’epoca delle Br: una volta catturati, molti brigatisti usavano dichiararsi “prigionieri di guerra”. Tuttavia, le nostre istituzioni non presero mai in considerazione la possibilità di riconoscere loro tale prerogativa, rispondendo a quelle astruse dichiarazioni di principio con la concretezza della giustizia delle Corti d’Assise ordinarie, chiamate di routine (anche se irrobustite, per la verità, dalla legislazione speciale sul “pentitismo”) a giudicare gli infami e imperdonabili delitti commessi dai brigatisti, nei confronti di tante vittime innocenti e indifese. Oggettivamente, quella fu considerata da tutti, a posteriori, una scelta giusta e vincente. In sintesi, i vari governi italiani, succedutisi durante gli infausti “Anni di Piombo”, decisero di combattere le Br non coi reparti armati dell’Esercito, bensì, più correttamente, con gli apparati delle forze di polizia ordinarie e dei servizi segreti civili.

Similmente, per il Pentagono e il Dipartimento di Stato, i miliziani di Al Qaeda erano semplicemente dei “battlefield detainee”. Coloro, cioè, che non appartenendo ad un Paese internazionalmente riconosciuto, non erano inquadrabili in un esercito, dato che non indossavano uniformi (confondendosi, proditoriamente, con la popolazione civile, per sferrare agguati nell’ombra e a tradimento, contro le truppe di occupazione), né portavano distintivi o gradi, che li potessero far paragonare a una qualsiasi forza organizzata ribelle. Condizione quest’ultima che, come si vede, si adatta perfettamente ai jihadisti che hanno compiuto stragi nelle principali città e capitali europee. I miliziani talebani, per loro stessa natura, facevano obiettivamente parte di una rete e di un’organizzazione dichiaratamente terroristica, che non poteva in alcun modo essere equiparata ad un corpo militare. Formalmente, tuttavia, la Convenzione di Ginevra, di cui gli Stati Uniti sono firmatari, stabilisce che, quando esista un ragionevole dubbio sulla possibile classificazione di un prigioniero, catturato a seguito di un conflitto armato internazionale o, comunque, nel corso di un confronto bellico tra Stati, l’interessato debba beneficiare del trattamento per lui previsto dalla Convenzione, fintanto che il suo status non venga esattamente definito da un Tribunale competente.

Giuridicamente, quindi, il concetto-base - sul cui cardine ruotava l’intera questione - era di stabilire se il regime dei Talebani potesse essere configurato, all’epoca immediatamente precedente l’invasione, come il governo legittimo dell’Afganistan. Se la risposta, in tal senso, fosse stata positiva, è innegabile che i detenuti afgani di Guantanamo dovessero essere considerati dei Pow di pieno diritto. Quindi, nel rispetto delle Convenzioni internazionali, dichiarando guerra (mondiale) allo Stato Islamico, chiunque a esso si richiami e qualunque sia la sua nazionalità può essere internato in una Guantanamo rivisitata e corretta, e vedersi applicato un regime speciale di detenzione in qualità di “Pow”. La misura vale, in particolare, per i così detti “foreign fighters” e ha durata illimitata, in pratica, fino alla definitiva resa del Califfato. In questa ottica di deterrenza, quindi, tutti coloro che si richiamano attraverso azioni ostili e concrete alla “Guerra Santa” o “Jihad” contro l’Occidente sono di fatto equiparabili a “battlefield detainee” e internabili nella nuova Guantanamo.

Penso che la comunità internazionale dovrebbe perlomeno riflettere su tale possibilità, evitando gli scontati rituali lacrimevoli e impotenti, che alle azioni stragiste oppongono un vuoto baluardo di inutili proclami alla solidarietà per le vittime e al coraggio del perdono. In ultimo, è infinitamente più probabile essere coinvolti in un incidente stradale che in un attentato. Tanto per capire il reale livello di rischio individuale.


di Maurizio Guaitoli