martedì 29 agosto 2017
Tra i vari aspetti che caratterizzano il fondamentalismo islamico, uno in particolare è da considerare, che emerge ogni qual volta avviene un attentato, ovvero la “visione selettiva” dell’ideologia politico-religiosa islamica; questa si manifesta soprattutto nell’aspetto “difensivo” della religione, questo a discapito di quel che spesso si sente dire sul fatto che il terrorismo non è il vero Islam e tutto il refrain politically correct sulla maggioranza musulmana che non è responsabile di quanto fanno gli estremisti. Ma la domanda è: cosa fanno realmente gli islamici cosiddetti radicali?
Per il fondamentalismo la questione è divisa in due aspetti: uno riguarda la sfera spirituale e del bene, quindi la “luce”; l’altro riguarda la sfera “materiale”, quindi il “male”. Il mondo al di fuori della umma (comunità dei credenti) è contaminato e peccaminoso. Per i musulmani sciiti in particolare, il mondo peccaminoso riguarda e comprende però anche i sunniti e i vari “Satana” di ogni ordine di grandezza, Israele in primis è considerato il “grande Satana” e di conseguenza tutti gli ebrei; a seguire gli infedeli occidentali, cristiani, ecc..
I fondamentalisti si ritengono infallibili, poiché il testo sacro – il Corano – è di origine divina, ergo sono legittimati direttamente da Dio, la cui parola non può essere messa in discussione. Qui entra in gioco un requisito determinante per una possibile evoluzione dell’Islam, l’esegesi del Corano, poiché questi aspetti di assoluta infallibilità e inviolabilità riguardano pure gli altri testi sacri monoteisti quali la Bibbia e la Torah, ma il grande successo della modernità e dell’illuminismo è una conseguenza del fatto che i cristiani e gli ebrei (vi è solo una piccola minoranza ultra ortodossa che osserva i precetti originali), si sono liberati dal concetto di subordinazione a un Dio punitivo e la conseguente accettazione del “pensiero critico”, nonché la “materialità” della quotidianità (si pensi al precetto ultra ortodosso della Torah che vieta di usare il fuoco durante lo Shabbat, che sarebbe impraticabile nella vita moderna e quindi viene rispettato solo da una piccolissima minoranza che cucina tutti i cibi prima dello shabba ovvero entro il venerdì) la quale non consentirebbe il rigore teocratico.
I testi cristiani ed ebraici hanno, attraverso l’esegesi asimmetrica, subito una “storicizzazione” grazie alla quale hanno consegnato la religione alla dimensione privata attraverso una netta separazione tra la sfera religiosa e quella politica. Questo non è ancora avvenuto per l’Islam, che prevede il concetto di “sottomissione” come fondamento della vita stessa, nonché l’opposizione all’ermeneutica sviluppata dai filosofi e critici secolarizzati; questo rende impossibile il conformarsi a quelli che sono i canoni della razionalità critica e della dialettica, rendendo difficile anche solo il dissenso, perché la visione integralista anziché seguire un metodo filologico e storico, mette in atto proprie strategie di interpretazione che oscillano tra approcci “radicalizzati” e “modernizzati” che sono finalizzati a reificare e conservare l’aspetto assolutistico della “tradizione”.
A fronte di tali aspetti, è chiaro che negare la matrice religiosa del fondamentalismo e quindi del terrorismo, significa decontestualizzare il processo che avviene ogni qual volta ci troviamo di fronte al problema, rischiando di veicolare un messaggio di de-responsabilizzazione dell’aspetto più cruento che è certamente quello di uccidere gli oppositori, gli infedeli, e riferire il tutto unicamente ad aspetti politici e sociali (i terroristi sono ragazzi emarginati, psichicamente instabili, il colonialismo occidentale ecc. ecc.) che non sono sufficienti, oltre che fuorvianti nel cercare le cause e non scambiarle con gli effetti al fine di contrastare il fenomeno terrorista. Rischiando altresì di creare un conflitto interno alle società ospitanti, a tal proposito è assurdo negare che l’innesto in una società con requisiti diversi da quella di origine, richiede necessariamente un’accettazione dei valori che possono essere anche molto diversi – la laicità dello Stato, i diritti umani – ma irrinunciabili da chi che ne fa parte da sempre e per i quali sono state versati lacrime e sangue, il rischio è lo sconfinamento nella conflittualità sociale.
Questo è il “muro islamico” che teme la marginalizzazione di quella che considera la “vera religione”. Il terrorismo non è nient’altro che uno sforzo militarizzato finalizzato a contrastare questa tendenza al fine di preservare la visione teocratica originaria e la sottomissione, nonché il controllo della umma, che esso vede come irrinunciabile, per questo motivo è inaccettabile il manicheismo morale di chi sostiene che il terrorismo non è intrinsecamente connesso con la religione, questa è il perno del movimento terrorista che si ispira direttamente alla rigidità interpretativa del testo sacro.
di Loredana Biffo