sabato 8 luglio 2017
Bruno Contrada è innocente. Sia pure col senno di poi. Ieri la Corte di Cassazione ha revocato la condanna a 10 anni inflitta all’ex numero 2 del Sisde, accusato di concorso in associazione mafiosa. I giudici romani hanno accolto il ricorso del legale di Contrada, Stefano Giordano, che aveva impugnato il provvedimento con cui la Corte d’Appello di Palermo aveva dichiarato inammissibile la sua richiesta di incidente di esecuzione. La Cassazione ha così dichiarato “ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza di condanna”.
In realtà, come è noto, la condanna Contrada la ha scontata, quasi tutta nel carcere militare di massima sicurezza Santa Maria Capua Vetere. Ma almeno, “l’Italia come l’Europa hanno riconosciuto la mia innocenza”. Per usare le sue parole a caldo di ieri mattina. Contrada che ha 87 anni ha anche commentato di “potere morire finalmente felice”. E questa è la giustizia made in Italy, si può ben dire.
Il motivo per cui ieri la Cassazione ha annullato ex post la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa è semplice: nel 1994 le presunte relazioni pericolose a scopo investigativo che secondo i Pm di Palermo Contrada avrebbe avuto negli anni Ottanta con alcuni boss mafiosi (peraltro tutti da lui fatti arrestare) non erano ancora da considerare sotto la fattispecie di “concorso esterno” in quanto la interpretazione giurisprudenziale sempre della cassazione italiana, e contestatissima dai fautori dello stato di diritto, ancora non esisteva.
E quindi già dal 2012 la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), aveva stabilito che Contrada andava riabilitato in quanto quella fattispecie di reato, puramente interpretativa visto che nel codice non esiste, non c’era. E nessuno può essere condannato retroattivamente per un reato le cui conseguenze non potevano essere previste al momento della sua commissione.
Un ragionamento che potrebbe valere de plano anche per Marcello Dell’Utri. Che però ha fatto l’errore di non ricorrere entro sei mesi dal passaggio in giudicato della condanna che lo riguardava alla Cedu per la violazione dell’articolo 7 della convenzione sui diritti dell’uomo. Che appunto statuisce il principio di non retroattività, tra le altre cose. E siccome le sentenze Cedu sono ad personam, la Cassazione non può estenderle per analogia ad altri imputati che si trovino nelle stesse condizioni oggettive di Contrada. A meno che non ci mettano prima o poi una pezza la Corte costituzionale e/o anche le sezioni unite della stessa Cassazione.
di Rocco Schiavone