Leggi demenziali: suicidio di una democrazia

sabato 8 luglio 2017


A questo punto non so più se siano l’ignoranza, la malafede, il fanatismo, la paura ed il servilismo a prevalere tra i nostri legislatori. È con angoscia che mi torna alla mente quella data (3 gennaio 1925) che diede forma scritta ed infame valore di legge alla violenza fascista che distrusse l’Italia liberale. C’è il rischio e ben più che solo il rischio, che tra qualche tempo questo inizio d’estate 2017 sia ricordato come quelle altre infauste giornate in cui furono approvate le leggi “fascistissime” che privarono gli italiani della loro libertà. Oggi vogliono farci credere che le leggi che Camera e Senato stanno approvando siano “democraticissime”. Ma non sono meno deleterie di quelle di quasi un secolo fa.

Il “Codice antimafia”, la “Legge contro la tortura”, nella loro ipocrita veste di difesa della sostanza dei diritti dei buoni cittadini, mostrano una caratteristica pericolosa: sono tali da lasciarci in balia di magistrati che hanno perduto ogni ritegno sulla strada della “giurisdizionalizzazione” dello Stato e della cosa pubblica in genere e tra i quali serpeggia una non esigua presenza di fanatici settari spregiudicati che hanno invocato leggi del genere, minacciando e ricattando la classe politica. E, purtroppo, a destra e a sinistra, nelle maggioranze e nell’opposizione una letale incoscienza porta quasi tutti ad alzar le spalle.

Le leggi penali di questa infausta fase della nostra Repubblica sono tutte, più o meno, frutto di ignoranza o di condiscendenza, quasi sempre dettate dalla paura di non andare a collocarsi tra i sospetti di mafia, di corruzione, hanno la caratteristica della violazione del “principio di legalità” sancito dall’articolo 25, comma 2 della Costituzione che, vietando che “chiunque” possa essere punito senza che il reato sia stabilito dalla legge precedente al fatto a lui addebitato, impone che sia chiaramente individuata e qualificata la fattispecie del reato, che essa non sia descritta in modo da risultare vaga e malamente circoscritta e che, ad essere punito, non sia il fatto ma, magari, la “qualità” della persona.

Ora, la legislazione antimafia sembra fatta apposta per negare e sopprimere tali principi essenziali. L’ignoranza (se di ignoranza si tratta) dei legislatori nella formulazione delle leggi è così messa al servizio di una funzione giudiziaria che travalica i suoi confini. Apre la strada alla dittatura delle Toghe. E di quelle meno pulite. Ma non basta. Per le esigenze di lotta alla mafia, è stata inventata da tempo la legislazione di prevenzione che prevede restrizioni delle libertà personali e confisca dei beni. Non è sufficiente di certo affermare che abbia carattere “preventivo”, quasi a “difesa” di chi vi sia sottoposto per negare che si tratti di “punizione” per le persone indiziate di essere mafiose. In pratica, riguarda coloro i quali sono indiziati di “mafiosità”, come è provato dal rilevante numero di sequestri di beni, non convalidati e trasformati in confische.

Con il nuovo “Codice antimafia” in discussione al Senato, si vuole estendere il sequestro dei beni, patrimoni ed aziende agli “indiziati” di essere concussori, corruttori o corrotti. Cioè agli “indizi” di reati “istantanei”. Con la certezza del diritto scompare così la certezza dei diritti. Ad esempio, la certezza della proprietà, garanzia anche per i creditori. Invano quando ero deputato ho cercato di sollevare la questione della salvaguardia dei diritti dei creditori degli “indiziati”.

Nella discussione alla Camera, Daniele Capezzone ha posto con fermezza la questione delle ripercussioni delle sciagurate leggi “orlandiane” sulla credibilità dell’economia, fondata sulla salvaguardia del credito, nel nostro Paese. Una parentesi: Andrea Orlando ha cercato di accreditarsi come “garantista” andando a farsi applaudire dai “marciatori” per lo Stato di diritto riuniti in un grottesco congresso a Rebibbia. È, in realtà, magari proprio per la sua pochezza, un “iscritto” al Partito dei magistrati. Lo sta dimostrando ora.

La verità è che siamo sull’orlo del baratro. Possibile che non vi sia partito, forza politica, non vi siano accademici o giornalisti che vogliano aprire gli occhi e denunciare alto e forte al Paese il pericolo che sta correndo? Possibile che alle pretese delle sciagurate platee di “forcaioli”, non vi sia nessuno capace di rispondere in nome dei principi di un diritto di cui il nostro Paese ha potuto un tempo vantarsi di essere la culla? Possibile che le leggi ammannite da questa subcultura populista di destra e di sinistra non trovino nessuno che le riconosca, come corrispondenti alle teorie giuridiche della Germania nazista che pretendevano di equiparare al colpevole la persona capace di rendersi tale?

Si vagheggiano nuovi partiti, nuove “geografie politiche”. Forse non ci resta che costituire un nuovo “Comitato di Liberazione”. A costo di dover agire in onorata clandestinità.


di Mauro Mellini