La pedata di Tallinn

sabato 8 luglio 2017


A Tallinn tutto è andato come previsto. Al vertice informale dei ministri dell’Interno della Ue il nostro Paese è stato battuto con un risultato che la dice lunga: 26 a 1.

Marco Minniti sperava nell’impossibile: convincere i partner europei a prendersi una buona parte della massa di clandestini che, risalendo dall’Africa sub-sahariana, attraverso il Mediterraneo vorrebbero piantare tende in Europa. Vi è stato un eccesso di velleitarismo nell’azione del Viminale che si è miseramente infranto contro il muro del “no” degli altri Stati. Rammaricarsi per l’esito infausto è umano ma non serve a sollevare i governi di centrosinistra che si sono succeduti dal 2013 dalla responsabilità di aver cercato d’imporre all’Unione una visione di società aperta che nessuno in Europa condivide. Il governo Gentiloni ne esce male. Come premio di consolazione per la batosta rimediata, Roma riceverebbe dalla Commissione di Bruxelles qualche soldo in più per i maggiori costi del servizio-accoglienza. E anche il permesso di dettare qualche regoletta ai taxi del mare delle Ong che traghettano i clandestini dal mare libico ai porti italiani. Regole che saranno puntualmente violate in nome del principio prevalente della priorità del salvataggio delle vite umane in mare sul rispetto dei caveat codificati nelle leggi. Si tratta comunque di un contentino concesso ai rappresentanti italiani per evitarne la disfatta. Già, perché questa Unione europea a trazione germanica è pretenziosa all’inverosimile. Vorrebbe sempre botti piene e partner ubriachi. Rifila un filotto di no al governo italiano, però teme come la peste la possibilità che i populisti prendano il sopravvento nel Belpaese.

Ecco spiegato il bastone e la carota. Peccato che il bastone sia una pertica e la carota somigli a una supposta. Ora, di fronte a questo disastro, da oppositori, dovremmo gioire. Invece no. Quando il governo, non importa di quale colore sia, viene umiliato all’estero la rabbia c’ingrossa la giugulare. Non siamo fatti della stessa pasta dei “compagni” che, nell’autunno 2011, si spellavano le mani in applausi ai sorrisetti idioti di Nicolas Sarkozy e di frau Merkel rivolti all’indirizzo dell’allora premier italiano Silvio Berlusconi. C’è una destra che la pensa all’americana: “My country, right or wrong”. È il nostro Paese, giusto o sbagliato che sia. È l’Italia, a prescindere. E nessuno dovrebbe permettersi di trattarla con arroganza. Sapete dov’è Tallinn? Guardate la carta geografica: la Libia è a una distanza siderale dall’Estonia. Di ciò che accade alla latitudine del Tropico del Cancro, ai popoli del 59° parallelo Nord non frega niente. Ciò che a loro importa è di non pagare il conto per le utopie multiculturaliste delle nostre classi dirigenti. Non è che, nello specifico, abbiano torto ma se è così che funziona: occhio per occhio! Perché allora preoccuparsi quando sulla graticola finiscono i cugini del Nord? Se avessimo una classe di governo con un po’ di fegato e con meno rammolliti sarebbe la volta buona di dare all’algida comitiva del Nord un gran dispiacere. Polacchi, baltici e tedeschi temono, più di ogni altra cosa, la presenza incombente del vicino russo. Col pretesto della crisi ucraina hanno precipitato l’Unione in un’insensata prova muscolare con Mosca. Hanno voluto punire “Zar” Vladimir Putin e la sua “cricca” al Cremlino con sanzioni economiche che sono divenute verbo per la politica estera comunitaria. Guai a toccarle. I governi italiani di centrosinistra si sono allineati alla decisione senza battere ciglio, ben sapendo che la contrapposizione dura con la Russia avrebbe danneggiato il “made in Italy”.

Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni si sono parati dietro la foglia di fico della salvaguardia della solidarietà all’interno dell’Unione.

Ma per com’è andata a Tallinn un governo con gli attributi saprebbe cosa fare: “Niente solidarietà sull’accoglienza dei migranti, niente solidarietà sulle sanzioni alla Russia. Da domani l’Italia revoca unilateralmente i provvedimenti contro la Federazione Russa. Pari e patta”. Questo vorremmo sentire da un governo che conosca il senso dell’onore e quello dell’onta. Invece, assisteremo ai soliti contorsionismi dialettici per dire che a Tallinn non ci hanno umiliato e quella che sembrava una pedata non è stata che un “quadro” del “Lago dei cigni”. D’altro canto perché stupirsi? Tutto ha una logica. Pensate che i nostri partner avrebbero avuto il medesimo atteggiamento sprezzante se avessero avuto contezza di misurarsi con dei governanti italiani di ben diversa caratura di quelli che, nel recente passato, hanno incontrato, pesato e trovato mancanti?


di Cristofaro Sola