venerdì 23 giugno 2017
La commissione Giustizia della Camera non tiene conto delle richieste del Consiglio d’Europa di modificare il ddl Tortura, e respinge tutti gli emendamenti al testo, su cui lunedì nell’Aula della Camera avrà inizio la discussione generale. In una lettera ai presidenti delle Camere, Nils Miuznieks, commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, proprio ieri aveva chiesto di cambiare il testo approvato dal Senato perché nella sua forma attuale contiene una definizione del reato e diversi elementi in disaccordo con quanto prescritto dagli standard internazionali.
Ma a Montecitorio quella richiesta è rimasta lettera morta. Nella sua lettera, Muiznieks si diceva preoccupato per le “profonde differenze” tra la definizione di tortura nel testo in esame alla Camera e quella contenuta nei testi internazionali ratificati dall’Italia, in particolare quella della Convenzione contro la Tortura delle Nazioni Unite. Il commissario punta il dito in particolare sul fatto che la proposta di legge preveda che per accusare qualcuno di tortura occorrerà che la persona abbia compiuto gli atti violenti più di una volta (il testo parla infatti di “reiterate violenze”).
Secondo Muiznieks se la legge sarà approvata così com’è, certi casi di tortura o trattamenti inumani non potranno essere perseguiti “creando quindi delle potenziali scappatoie per l’impunita’”. Il testo che andrà in Aula lunedì introduce nuovi articoli nel codice penale e nel codice di procedura penale. Definisce la tortura come la condotta di chi agendo con “reiterate violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico”. La pena va da 4 a 10 anni, aumentata da 5 a 12 se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale. Viene aumentata fino alla metà se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima; se ne deriva la morte la pena è aumentata a trenta anni. L’istigazione da parte del pubblico ufficiale a commettere atti di tortura (si pensi al poliziotto o carabiniere, che dà un ordine in tal senso al suo sottoposto) è punita con la pena da sei mesi a tre anni.
di Redazione