La sindrome di Caporetto avvolge la dirigenza ignorante

sabato 27 maggio 2017


Come reagirebbe l’Italia tutta se da un pulpito, girovagante per piazze e strade, si desse al suo popolo del traditore, del vile, dello storicamente ignavo? Dati i tempi (non sappiamo se per fortuna) non ci toccherebbe la fine di Dante, scamperemmo l’esilio. Perché da tempo inveterato chi governa l’Italia o parte di essa si schiera comunque con i vili, ritenuti a torto o ragione i più fedeli figli della patria.

Con questo non si vuole certo giustificare l’antitalianità, ma rammentare come il tricolore ci sia cascato in testa per caso (il verde era l’azzurro sbiadito delle armate napoleoniche). Ma i gesti eroici e politici di tanti uomini hanno dato dignità e onore ad una patria unita per caso, col sangue e sulla pelle di tanta gente comune. Quindi non si comprende come si possa su questa materia umana costruire partiti e gruppi politici che interpretino le necessità di tutti, il cosiddetto bene comune. Ecco che sarebbe oltremodo utile introdurre sia l’esame di lingua italiana per i nuovi (i cosiddetti migranti) che di storia patria per chiunque nutra velleità politiche. Ma quanti eletti dai municipi alle camere sanno che Caporetto  oggi si chiama Kobarid (nome sloveno)? Oggi Caporetto è un municipio della Slovenia occidentale, un Paese di confine con l’Italia. Eppure quando per gli austriaci s’appellava Karfreit per noi tutti era Caporetto. La posizione strategica nella valle dell’Isonzo, oggi lontano dai riflettori della cronaca custodisce le salme di 7014 soldati italiani morti durante la Prima guerra mondiale. Ma da quando è di scena la Seconda Repubblica in questo paese di vili, opportunisticamente smemorati, nessuno osa più ricordare quel sacrificio (meditare sul precedente storico), che per una nazione normale ricorrerebbe come atto fondante del comune senso della patria. Ricordare Caporetto, e perché non si ripetano atti di viltà e sconfitte nazionali.

8 luglio 1919, Giuseppe Prezzolini scriveva così della tragedia di Caporetto “Senza entrare nei particolari che ancora a nessuno è dato raccogliere con sufficiente cura per istruirne il processo storico, questo è certo e fondamentale: che non si tratta di una catastrofe militare, derivante soltanto da errate disposizioni d’un generale o di uno stato maggiore, o unicamente da un tradimento, o principalmente da inferiorità d’armi e di uomini; bensì da un disgregamento morale, repentinamente rivelatosi, in un momento critico e sopra una così larga parte dell’esercito, da far perdere a questo, in un periodo di pochi giorni, due terzi della sua efficienza bellica, quasi tutto il suo materiale di guerra, posizioni conquistate in due anni e mezzo di dura lotta.

Come mai ciò è potuto avvenire, senza che le classi dirigenti del paese ne avessero il minimo sentore, senza che il Comando dell'esercito ne comprendesse la vastità, l'importanza, l'irreparabile gravità? Son questi i problemi più interessanti”. Prezzolini (classe 1882) passerà a miglior vita nel 1982, dopo aver indagato sulle ragioni dell’imperitura ignavia politica italiana, che di Caporetto oggi può vantarne più di una. E sembra proprio che l’indifferenza e l’ignoranza storica della nostra classe politica, già fotografata da Prezzolini, abbia negli ultimi anni fatto nuovi e più significativi passi verso la barbarie, l’ignavia ed il senso diffuso di disfacimento del sentimento di solidarietà nazionale. Peggiorato è il paese e con lui la classe dirigente. Così possiamo considerare come delle nuove Caporetto le tragedie dimenticate dei terremotati come degli alluvionati, dei disoccupati come delle vittime della giustizia, della sanità, del rimpallo di competenze, degli iter burocratici come delle cartelle esattoriali sbagliate di Equitalia, consorzi di bonifica, enti territoriali, municipalizzate...

Ed i nuovi martiri vestono i panni del novello milite ignoto, sotto mentite spoglie di artigiano, operaio, professionista, disoccupato, pensionato. Ma la classe dirigente continua indifferente la propria scalata, e nemmeno il rimorso di futura memoria storica riesce a frenarne il passo. Ma che ne sanno gli amministratori di TrenItalia o di Alitalia della patria tradita e infranta? Come può un Renzi, e chi è con lui, ricordare che necessita riscattare il paese dalle tantissime Caporetto? Dobbiamo anche stare attenti a sventolare il riscatto patrio, potrebbero tacciare di fascismo questo sentimento diffuso e silente. Ecco che la storia patria dovrebbe assurgere a cruna di ago da cui far passare le gobbute velleità politiche. Perché il senso di disarmo e di disfatta può essere fermato solo curando la sindrome di Caporetto di cui soffre (anche malevolmente) la nostra classe dirigente.


di Ruggiero Capone