Intercettazioni, la Procura di Roma manda un segnale

mercoledì 17 maggio 2017


Oggi c’è una vera notizia. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo a carico de “Il Fatto quotidiano” per violazione del segreto istruttorio e per pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. “Il Fatto” ha pubblicato l’altro ieri, come professione ormai impone a chi voglia fregiarsi del titolo di “bravo giornalista”, l’intercettazione di una telefonata, risalente al 2 marzo scorso tra Matteo Renzi e il padre Tiziano intercorsa a ridosso dell’interrogatorio del padre dell’ex premier nell’ambito dell’inchiesta Consip e che con ovvio intento pubblicitario anticipa quanto riportato nel libro di Marco Lillo, “Di padre in figlio” a breve nelle edicole.

Dicevamo, la notizia. Non è certo quella dell’ennesima pubblicazione di un’intercettazione. E non perché si stia indebolendo il minoritario fronte di chi denuncia il malcostume e la tirannia di un malinteso diritto di cronaca ormai da tempo dedito all’esercizio della gogna e autolegittimatosi a violare tutti gli altri diritti e garanzie che entrano in gioco nell’ambito di qualsiasi scenario procedimentale a carico di chicchessia, in sintesi del diritto all’equo processo. No, al contrario, forse l’insistenza di chi non intende arretrare di fronte alla tutela delle garanzie individuali alla fine sta aprendo qualche piccola breccia. La notizia di ieri è infatti che una Procura, quella di Roma, finalmente, si è mossa a sorpresa e concretamente in una direzione che, nel caso fosse seguita da altre procure, inizierebbe a incrinare il perverso sodalizio tra Pm e soggetti inquirenti da una parte e redazioni e giornalisti dall’altra. E lo ha fatto semplicemente applicando il Codice di procedura penale che stabilisce agli articoli 114 e 115 sia il divieto di pubblicare atti coperti da segreto ma anche atti non più coperti da segreto fino al termine delle indagini e, se si procede al dibattimento, fino alla sentenza di primo grado e per il fascicolo del Pm fino alla sentenza in appello. Sia l’obbligo che la Procura che venga a conoscenza di tale violazione da parte di chi esercita una professione che richiede abilitazione dallo Stato, come i giornalisti, apra un fascicolo per illecito disciplinare di cui informa l’organo titolare del potere disciplinare.

Ehilà, allora il Cpp è ancora considerato legge? Pare di sì anche se la decisione della Procura romana è un’arma in realtà spuntata tanto che Marco Lillo si è serenamente abbandonato all’ironia dichiarando, “mi consegno, la Procura è qui vicino”. Un illecito disciplinare, insomma, non fa tremare nessuno tanto più se giustificato anzi santificato da quello che viene considerato la madre di tutti i diritti: il diritto di cronaca e la libertà di informazione che dà licenza di piegare alle proprie necessità, come avviene costantemente, principi consolidati nella giurisdizione europea e nella nostra costituzione come il rispetto della dignità, il diritto di difesa, alla formazione della prova e della verità e delle responsabilità individuali davanti al giudice e solo in sede di contraddittorio, mai prima a mezzo stampa.

La decisione della Procura di Roma dunque rappresenta forse solo un timido segnale che non si è perso del tutto il senso di cosa sia la civiltà giuridica e l’effettivo stato di diritto. La notizia diventerebbe un’ottima notizia se quel fascicolo fosse diretto anche a indagare su chi, all’interno del circuito investigativo, a partire dagli uffici della polizia giudiziaria fino alle procure medesime, passa gli atti di indagine ai giornalisti, seguitando a irrorare il perverso sodalizio tra Pm, uffici di polizia giudiziaria e redazioni, fondato sulla reciproca utilità e visibilità e sulle aspettative di un’opinione pubblica ormai vittima inconsapevole della propria ingordigia colpevolista.


di Barbara Alessandrini