A proposito di domande scomode

martedì 16 maggio 2017


Il direttore del Corriere della Sera, nel suo editoriale di domenica scorsa, ha messo l’accento sulle domande scomode che il potere non accetta. Il cuore del ragionamento di Luciano Fontana pulsava nella polemica “Boschi/de Bortoli” prima e “Renzi/de Bortoli” poi, per il caso Banca Etruria.

Sappiamo che tutto nasce dalle affermazioni che Ferruccio de Bortoli, nel suo ultimo libro “Poteri forti (o quasi)”, ha fatto a proposito del dissesto dell’Istituto aretino e dintorni.

Della polemica abbiamo già scritto, dunque questa volta preferiremmo estendere la nostra riflessione a partire dal titolo dell’articolo di Fontana “ Potere e domande scomode”.

Questo titolo, infatti, offre spunto per affondare il pensiero su tante strane singolarità del nostro Paese, intorno alle quali le “domande scomode al potere” potrebbero e dovrebbero essere molte ma molte di più.

In Italia si sa, sono decenni che si parla di intrecci e opacità, di cortocircuiti e di strani collegamenti fra politica e banche, politica e affari, politica e magistratura. Se ne parla quasi sempre, ma ancora di più quando scoppia qualche scandalo, quando parte qualche indagine clamorosa, quando viene a galla qualche intrigo giudiziario. Inutile dunque aggiungere che siccome l’Italia è quotidianamente assalita da fatti del genere, che segnano uno dei peggiori vizi del Paese, il tema è all’ordine del giorno.

Viene allora da chiedersi il perché, a proposito di domande scomode, non ci si sia mai posti l’interrogativo su alcune singolarità solo italiane. Solo italiane perché altrove, nel mondo occidentale e più che mai in Europa, certe cose non esistono per principio, per logica, per buon senso. Tanto è vero che in Francia con l’elezione di Emmanuel Macron, ex uomo forte del mondo bancario, si parla di vittoria dell’establishment finanziario e dei poteri che contano. Se ne parla e non solo in Francia, con toni preoccupati per i possibili conflitti d’interesse, i collegamenti stretti, le amicizie e dunque l’influenza e l’interferenza che un certo mondo potrebbe avere con la gestione del potere politico.

In Italia, al contrario, nessuno si è mai posto la domanda sul come ad esempio sia stato possibile che una banca centrale (Bankitalia) abbia dato al Paese e ripetutamente, i massimi rappresentanti delle istituzioni e dell’esecutivo. Non ci risulta, infatti, che la Banca d’Inghilterra, la Bundesbank o la stessa Banca di Francia, abbiano mai fatto altrettanto. Dunque, perché è accaduto solo da noi? Volendo insistere sulle cosiddette domande scomode, perché solo in Italia, nonostante il noto cortocircuito fra politica e giustizia, quest’ultima continua a fornire altrettanti alti rappresentanti delle istituzioni e dell’esecutivo?

Non ci risulta, infatti, che altrove in Europa ci siano magistrati che entrino ed escano dalla politica, con ruoli da sottosegretario, ministro e anche istituzionalmente più elevati. Altrove, infatti, il concetto fondamentale della separazione delle funzioni è talmente radicato e rispettato da impedire che questo accada. Come se non bastasse, perché solo da noi e da sempre, i nomi che girano per gli incarichi di vertice nelle aziende, negli Enti, negli organismi che contano, sono sempre gli stessi? E perché così spesso si tratta di ex politici, ex ministri, ex membri di governo?

Possibile che per le Società, le Authority, gli Istituti, non sia praticabile la scelta di uomini e donne la cui terzietà sia chiara in ogni senso? Insomma, tornando a Luciano Fontana, con il quale concordiamo in toto, le domande scomode e ancora purtroppo senza risposta in questo Paese sarebbero davvero tante. Di certo però gli inciuci, i collegamenti, i rapporti stretti fra certi mondi, da noi non sono nati per caso e continuano a non nascere per caso, così come non sono affidate al caso tante poco chiare e discutibili vicende nostrane. Ecco perché diciamo che l’Italia avrebbe bisogno innanzitutto di una rivoluzione culturale di sistema e di un cambiamento radicale nella classe politica, che portasse a un diverso senso dello Stato e della cosa pubblica. Solo così, forse e chissà, non solo finiranno naturalmente le domande scomode, ma i cittadini potranno finalmente guardare con piena fiducia alla politica, alla classe dirigente, a chi amministra e gestisce il denaro collettivo.


di E. Rossi e A. Mosca