sabato 13 maggio 2017
Che dopo il referendum del 4 dicembre non ci avrebbero fatto votare in cambio del nulla, era chiaro, tutte le giustificazioni accampate, infatti, rappresentano un risibile paravento della peggiore vecchia politica. Non ci hanno fatto votare oltretutto, ben sapendo non solo che avrebbero perso tempo, ma che questo tempo, invece, per l’Italia sarebbe stato preziosissimo.
Siamo insomma di fronte a una melina del più mediocre stampo balneare in stile prima Repubblica, quando si rabberciavano governi e maggioranze solo per consentire al potere il cambio di stagione negli armadi.
Quegli armadi nei quali si sa, erano custoditi insieme agli scheletri tutti gli abiti di scena da scegliere per la prossima rappresentazione. Oggi se possibile andiamo peggio, perché allora almeno gli attori sapevano recitare la parte, studiavano e erano dotati di cultura generale e politica. Tanto è vero che gli stessi governi balneari erano si per prendere tempo, ma anche per comporre una certa strategia o per tracciare un qualche percorso di sistema. Oggi al contrario niente, Paolo Gentiloni sta lì e l’unica cosa che si vede è l’agitazione per evitare la vittoria di Beppe Grillo e dei grillini.
Del resto questi sei mesi di un Premier “anonimo” per scelta oculata, non sono serviti per la legge elettorale che resta dov’era, né per portare avanti chissà quale riforma o novità. Anzi sono stati riempiti fino a ora, secondo il più classico proscenio politico, di qualche scandaluccio, di alcune trappolette, parecchi duelli di gelosie, oltre ai soliti annunci fasulli di un’Italia che riparte.
Ma il peggio vuole che mentre l’Italia si è fermata con Gentiloni per i grandi motivi... annunciati, il resto d’Europa ovviamente è andato avanti. L’establishment ha portato Macron alla presidenza francese, riuscendo in un colpo solo a fare quattro cose fondamentali. Cassare il rischio Le Pen, rinsaldare l’asse franco tedesco, sigillare lo scettro d’Europa nelle mani della Merkel, ridurre l’Italia a semplice comparsa. Dunque mentre gli insopportabili “radical chic” nostrani si esercitano nella gara di pronuncia del nuovo presidente, per farsi belli nel fonema del cognome, quel poker ha vinto il piatto.
Stiamo perdendo tempo e non possiamo permettercelo, questa è la realtà e i dati dell’eurozona che ci danno ultimi insieme alla Grecia lo testimoniano drammaticamente. Oltretutto sprechiamo i mesi per una decisione ovvia e già presa, comporre una larga intesa in chiave antigrillina. Perché sia chiaro, il maxinciucio, la grande coalizione o larghe intese che siano, sono decise da un bel po’, il problema è solo delle quote di appartenenza. Chi sarà il maggior azionista, chi il secondo e così via, per stabilire ruoli, potere contrattuale, posti e linea prevalente. Qualcuno si sfilerà, qualcun altro si spaccherà (Lega), altri, infine, si divideranno a pezzettini per aderire singolarmente, ma saranno larghe intese e basta. Insomma, una storia nota e arcinota, che si poteva chiudere in due, tre mesi, anziché farci perdere un anno e mezzo, fino a aprile 2018.
Ma il problema più grande non è questo, perché quello che veramente preoccupa è il dopo, nel senso cioè di non sapere cosa farà la Santa alleanza per l’Italia e gli italiani. Non potrà bastare, infatti, avere sconfitto il pericolo grillino senza puntare all’obiettivo di rivoluzionare il sistema Paese. Dunque la grande coalizione potrà riformare l’Italia, la Costituzione, la giustizia, il fisco, la previdenza e l’assistenza? Potrà avviare una rivoluzione culturale del senso dello Stato, della gestione delle risorse e del risanamento necessario? Sarà, infine, in grado di affrontare il tema dell’immigrazione incontrollata, del ridimensionamento dell’apparato pubblico e della posizione in Europa?
Saremo pessimisti, ma da quel che si vede è difficile che lo faccia, del resto sono sei anni, da Mario Monti in poi, che si sperimenta la maggioranza variamente allargata e l’Italia sprofonda. Ci auguriamo di sbagliare, ma forse per salvare l’Italia c’è proprio bisogno di uno choc elettorale che cambi il sistema una volta per tutte.
di E. Rossi e A. Mosca