sabato 13 maggio 2017
Domani si apriranno le urne delle primarie leghiste per la scelta del segretario e della squadra che lo affiancherà nel Consiglio federale nel prossimo triennio. Si tratta del primo atto di un percorso che si concluderà il prossimo 21 maggio a Parma con la celebrazione dell’Assemblea congressuale. Ma quello di domani sarà il momento decisivo perché il vincente passerà dall’assemblea del Congresso federale solo per un voto di ratifica. A contendere la leadership al segretario uscente Matteo Salvini sarà Gianni Fava, leghista della prima ora, attualmente assessore all’agricoltura nella giunta lombarda di Roberto Maroni. I candidati sono portatori di modelli organizzativi e orientamenti ideologici molto differenti. Si preannuncia, dunque, una sfida vera. Per saperne di più su questo congresso, parliamo con Lorenzo Fontana, deputato al Parlamento europeo, vicesegretario federale della Lega Nord e punta di lancia del nuovo corso salviniano.
Onorevole, ci siamo. Il giorno del giudizio per la Lega 2.0 targata Salvini è arrivato. Che affluenza ai seggi prevede?
Altissima. Deve considerare che i militanti della Lega avvertono il dovere di partecipare attivamente alla vita del movimento, a maggior ragione in un frangente decisivo per il nostro futuro politico. E poi c’è da dire che il segretario Salvini si è speso molto per spronare gli iscritti a esprimersi attraverso il voto alle primarie.
Dando una scorsa al regolamento scopriamo che la composizione del prossimo Consiglio federale, ripartita per territori, non prevede che vi sia una rappresentanza ligure. Eppure, su quella regione e su Genova, che a breve andrà al rinnovo dell’amministrazione comunale, la Lega ha puntato molto. È stata una dimenticanza o che altro?
Nulla di ciò. Si è trattata di una questione tecnico-regolamentare. Per Statuto la presenza nel Consiglio federale, composto di 13 membri, è calcolata sulla base delle preferenze ottenute alle ultime elezioni che, in Liguria, sono state per il Parlamento europeo. Purtroppo, nel 2014, il movimento non ottenne il numero di suffragi sufficienti perché scattasse un seggio all’interno del Consiglio. Nondimeno, con il buon lavoro svolto dai nostri militanti in questi anni confidiamo che in futuro anche la Liguria sarà pienamente rappresentata nel Consiglio federale.
Sarà una corsa a due, visto che Gianni Fava ha raccolto sufficienti firme per proporre la sua candidatura alla segreteria. Gli analisti, però, danno per scontata la vittoria di Salvini. Condivide il pronostico o dobbiamo attenderci una sorpresa?
Non dovrei dirlo perché sono parte in causa ma penso che effettivamente non vi sia partita. In questo momento storico Salvini è la Lega, nel senso che è riuscito a coglierne le istanze più profonde e a disegnare un progetto organico che racchiude una chiara e definitiva visione del futuro delle società europee e, più in generale, della civiltà occidentale.
Quali a suo avviso le differenze tra i due sfidanti?
Gianni Fava è un localista a oltranza, figlio di una Lega nemica di “Roma ladrona” più che di “Bruxelles”, fautrice di un modello organizzativo che si limita a funzionare da sindacato dei territori del perimetro padano, contraria agli apparentamenti con Marine Le Pen e il Front National. Matteo Salvini, invece, è interprete di un sentimento anti-mondialista, che si materializza nelle battaglie anti-euro, anti-immigrazione incontrollata, anti-tecnocrazie dei poteri forti che schiacciano i diritti dei popoli. Salvini punta a un riposizionamento strategico della Lega su parole d’ordine marcatamente identitarie, per questo non trascura la sfida più impegnativa: quella del coinvolgimento di tutto il territorio nazionale, compreso il Mezzogiorno.
È dunque l’avvicinamento alle posizioni di Marine Le Pen e ai populisti europei il pomo della discordia sul quale intende far leva l’opposizione di Fava?
Sbaglia chi pensa che vogliamo appiattirci sulle idee altrui. Sono pienamente consapevole che vi siano delle differenze tra i nostri interessi nazionali e quelli, ad esempio, dei francesi. Tuttavia, il riconoscimento e, se vuole, l’esaltazione delle diversità non deve impedirci di lavorare a costruire un fronte comune su più vasta scala per contrastare gli effetti della globalizzazione che resta il nemico comune dei popoli occidentali. Sono dell’idea che, nel prossimo futuro, si debba dare vita a un fronte identitario che coinvolga i movimenti di tutt’Europa affini al nostro. Chiudersi nei propri territori in questo momento sarebbe un grave danno per le prospettive stesse di sopravvivenza di quelle comunità che intendiamo rappresentare e difendere. Direi che l’errore che Fava compie, sebbene in perfetta buona fede, è di prospettiva storica.
Al congresso si parlerà anche di alleanze?
Si tratta di un argomento complesso. Al momento non è facile ipotizzare che si possa ricomporre la coalizione del centrodestra come l’abbiamo conosciuta in passato. Il quadro politico nazionale ed europeo si è evoluto in questi ultimi anni e i partiti e i movimenti d’opposizione al centrosinistra non hanno dato le medesime risposte agli interrogativi che, in particolare, la modernità pone alle classi dirigenti dei Paesi coinvolti. Personalmente ritengo, e non da oggi, che il rapporto con Forza Italia sia molto complicato. Sono al Parlamento europeo dove mi capita di vedere all’opera quotidianamente i colleghi forzisti. Le loro posizioni sono in linea con le direttrici di marcia del Partito Popolare Europeo contro le quali, come Lega, ci battiamo senza cedere di un passo. Ora, mi domando e domando agli amici di Forza Italia: è possibile fare una cosa a Bruxelles e il suo contrario a Roma? Il problema, sia chiaro, non è Silvio Berlusconi al quale vanno riconosciuti molti meriti, a cominciare dalla politica estera attuata negli anni di governo del centrodestra. È stato coraggioso a compiere scelte che non sono state gradite dall’establishment di Bruxelles e forse, anche per questo, ha pagato a caro prezzo la sua eterodossia rispetto al mainstream europeo. Tuttavia, questo è il passato. Le differenze dell’oggi sul che fare nel nostro Paese e in Europa restano. il fatto che, a livello locale, siamo riusciti a ritrovare le ragioni dello stare insieme per contrapporre alternative di buon governo al Centrosinistra e ai Cinque Stelle è un buon punto di partenza, ma lavorare a un progetto condiviso per il governo del Paese è tutta un’altra musica. Cionondimeno, è nostro dovere provarci fino in fondo. Il tratto caratteristico dello spirito leghista è il pragmatismo. Non ci interessa fare testimonianza ma ottenere il consenso sufficiente per aiutare il Paese a uscire da questo difficilissimo momento. Se per farlo occorrerà compiere uno sforzo supplementare di dialogo con i nostri partner non ci tireremo indietro.
Torniamo ai temi del congresso. Si parlerà anche della questione dell’allargamento del consenso al Sud?
Sarà inevitabile, perché il segretario Salvini ha puntato molto sulla scommessa di estendere a tutto il Paese la proposta leghista. Oggi, dal punto di vista organizzativo, c’è “Noi con Salvini” che sta lavorando per mettere radici sotto la Linea Gotica. È uno sforzo che richiede tempo prima che i popoli meridionali metabolizzino il progetto di condivisione, pur articolato in un percorso che punti alla valorizzazione delle autonomie comunitarie. Essendo un’iniziativa ancora in fase sperimentale non escludo che richiederà correttivi. E qualche riflessione in questo senso andrà fatta.
Quanto peseranno i dubbi dei grandi vecchi della Lega, Umberto Bossi e Roberto Maroni, sulla linea politica di Salvini?
Non voglio mancare di rispetto a nessuno ma, ritengo, assai poco. La storia del movimento fa parte del nostro Dna e nessuno può cancellarla. Ma bisogna guardare avanti. A Bossi dico che pensare di riproporre modelli e parole d’ordine della Lega delle origini in un contesto socio-economico totalmente mutato sarebbe suicida. La nostra prospettiva, lo ripeto, è quella di andare oltre i confini nazionali e puntare alla creazione di un fronte identitario il più esteso possibile, chiamando a raccolta intellettuali e figure della cultura per sostanziare un’idea che prima ancora di tradursi in prassi della politica sia originale visione del mondo, alternativa a quella propugnata dai filosofi del multiculturalismo e del relativismo etico. Figurarsi se, invece, la soluzione la si dovesse cercare rinchiudendosi nei nostri territori. L’onda della globalizzazione e del nichilismo identitario ci travolgerebbe, come in effetti, sta accadendo già. A questo punto la dimensione fisica del fronte di contrasto diventa decisiva e la Lega non può chiamarsi fuori. Detto questo, ribadisco che a Bossi non si può che voler bene. Qualsiasi cosa dica. Lo stesso vale per Maroni. Che faccia il tifo per Fava è comprensibile: è un assessore della sua giunta, vuole che gli remi contro?
Tutto bene dunque. Allora si sbilanci in un pronostico. Come finisce domenica?
Con Matteo (Salvini n.d.r.) che vola ben oltre l’80 per cento dei consensi.
di Cristofaro Sola